...Ambarabacicicocò, questo rene a chi lo do?

 

Il tempo passava, la dialisi andava bene. Abbiamo cominciato a pensare alla soluzione definitiva: il trapianto.

Il medico di Messina prende contatti con Padova. Ma il caso, come sempre, non è semplice. Abbiamo prenotato il ricovero, facciamo i soliti esami preliminari per un’eventuale ammissione nella lista. E aspettiamo. Ma quanto si aspetta! Sarà per questo che le persone che devono essere curate, vengono chiamate "pazienti"? Aspettiamo e non ci facciamo troppe illusioni. Non è detto che verrà messa in lista.

Siamo nel febbraio 2004.

Fatti tutti i controlli generali, ora passiamo alla visita neurologica.

Arriva nella stanza una "dottoressa" e comincia:

“vediamo le mani”

“NO”

“il viso”

“NO”

“le orecchie”

“NO”

“le gambe”

“NO”

“cammina”

“NO”.

“Facciamo i test attitudinali e vediamo se li supera. Altrimenti la scartiamo”.

Se per fare il medico, ci fosse una materia come il TATTO, mi sa che molti dei medici starebbero ancora a studiare. Faccio fatica a capire ma è estremamente difficile dare un senso a tale atteggiamento. E visto che io non combatto per me ma per Karolina, questo mi obbliga a fare molto di più del "dovuto". O forse “solo” quello, non lo so. Comunque chiedo:

“Allora lei vorrebbe dire che se Karolina non sa quanto fa quattro per tre non avrà un rene?”

“É così. Non bastano per tutti”.

So anche questo, non sono stupida, ma ...non con questi metodi.

Prossima tappa: visita dagli psicologi.

Devono vedere come affrontiamo la situazione. Ho detto tutto quello che pensavo, che non era il giusto modo di selezione, che la piccola si gode la sua vita anche senza sapere le tabelline.

Continua l'attesa. Si torna a casa con il solito: vi faremo sapere.

Il medico di Messina mi dice che non ci sono molte speranze. Se i danni ai reni sono stati causati dalla galattosemia con il trapianto non risolviamo niente, anzi “sprecheremo” un organo. Comunque a Padova vogliono fare altri esami. Mandiamo le provette con il sangue. All'inizio di giugno arriva la telefonata.

Una notizia buona, e una un po' meno. La buona è che dal 15 giugno Karolina entra nella lista per il trapianto, quella un po' meno bella, che abbiamo scoperto che ha un’altra malattia genetica (che l'ha portata alla insufficienza renale); comunque con il trapianto si dovrebbe risolvere tutto.

E, siamo in lista.

E ora?

Ora calma. Niente domande su come sarà, che farmaci dovrà prendere dopo, quanto durerà l'intervento, quanto tempo si potrà andare avanti con il nuovo rene, come sarà la nostra vita dopo.

Basta, ora si aspetta. Aspetta e spera. Sì, si spera che Karolina stia bene quel giorno, niente febbre, tosse catarro. Che quando chiamano il telefono sia raggiungibile. Stai sempre a controllare, supermercati, palazzi alti, città. Tutte zone non sempre raggiungibili dal segnale. Ma non mi sono mai resa conto di questi “campi scoperti”. Io odio il telefonino, ma ora lo devo avere sempre con me, anche la notte, anzi, soprattutto di notte. Ho sentito che chiamano sempre verso l'una e le due di notte. Già dormivo poco e male, figuriamoci ora. E se chiamano e io non sento?  E poi dobbiamo anche organizzare il viaggio. Menomale che il medico di Messina mi rassicura. Ha già mandato a Padova tanti ragazzi, dovrei stare tranquilla almeno per quello.

E come dice il saggio, anche il giro del mondo si inizia con il primo passo.

Chissà quanto dovremmo aspettare?

40 giorni, solo 40 giorni, cosa più unica che rara.

25 luglio, piena notte, suona il telefono.

Buongiorno, sono il dottor da Padova.

Ho capito solo Padova, tutti i neuroni sull'attenti.

“Come sta Karolina?”

“Bene”.

“Bene, bene? Cioè niente tosse, niente febbre o catarro. Niente?”

“No, tutto bene”.

“Ok, allora abbiamo un rene per lei”.

Un pensiero mi passa come un fulmine nella testa: ora c'è una mamma che ha un figlio morto accanto. Non so come o perché, so solo che è morto. Ma devo tornare a pensare. Il medico continua a fare le domande.

“Ora come siete organizzati? Entro 5 ore dovete essere a Padova”.

“Sa tutto il dottor Ch. Ora lo chiamo”.

“No, lei pensi alla figlia, io avviso il dottore”.

Karolina era ancora attaccata alla macchina della dialisi. Doveva finire il ciclo, fare lo scarico, e solo dopo potevo staccarla.

Il tempo.

Che strano. Capitano i momenti come questo che non ti rendi conto di come passa. O non passa. Ma c'è. Non sai se sono passati 30 minuti o 3 ore. Prendo la valigia, metto dentro due cose, i documenti sopratutto.

Chiamo un amico di famiglia.

“Hanno chiamato da Padova. Avrò bisogno di un passaggio a Catania”.

“Ora arriviamo”.

Mi chiama il dottor Ch..

“Tutto bene? Ora chiamo l'Aeronautica Militare, loro organizzano un volo che vi porterà a Venezia, di lì con l'ambulanza arriverete a Padova. Ha qualcuno che la accompagna all'aeroporto?”

“Certo”.

“Allora ora la lascio, continui a prepararsi, ci risentiamo tra poco. Dovrete comunque passare dall'ospedale per prendere i permessi, altrimenti non vi faranno salire a bordo”.

“Va bene”.

Presa la valigia, due cose messe dentro.

È arrivato il mio amico, ma Karolina è ancora attaccata alla macchina.

“Vado allora a mettere la benzina”.

Sveglio Daniele. Deve andare a stare a casa di Mariella (la moglie dell'amico che mi accompagnerà), io non so quando ritorno.

Valigia, Karolina,casa, sembra tutto a posto.

Si parte. Non c'è nemmeno il tempo per i capricci della piccola. Caricata di peso in auto. E via. Passiamo a salutare Mariella, lasciamo Daniele. Inizia il viaggio verso Padova. Siamo passati a Messina per prendere i permessi e un amico che facesse compagnia al ritorno. Il viaggio fino a Catania è stato divertente,  abbiamo scherzato e riso un sacco. Credo più che altro per sdrammatizzare il momento. Arrivati all'aeroporto, si cambia il mezzo. Quello civile non può accedere  alla pista. Ma a Karolina  non piace la macchina della polizia. Con calma cerco di convincerla, facciamo le presentazioni con gli agenti per rompere il ghiaccio. Fatto. Siamo sull'auto. Prossima tappa, aereo. Ma anche questo non va bene: è grande, fa rumore, per salire ci sono le scale. Tutte cose che disturbano il suo già precario equilibrio. In più tutto condito con una buona dose di fretta. Ma visto che non abbiamo alternative, di nuovo avanti con le presentazioni, altro ghiaccio da rompere, le mani sulle orecchie (per far sentire meno rumore) e si va. Fatta anche questa.

Dopo una ventina di minuti dal decollo:

“Mamma, Lucia”.

Si è ricordata della sua bambola che è rimasta a casa.

“Dai, non possiamo tornare indietro. Lucia arriverà dopo”.

“Ok”.

Ma quanto siamo importanti, un aereo tutto per noi. Bello.

Arriviamo a Venezia. Salutiamo i soldatini.

Ci stanno già aspettando quelli dell'ambulanza. La croce verde. Karolina come il suo solito parte con le domande:

“Perché verde e non rossa (la croce)?”

Non glielo sanno spiegare. Padova è vicina, continuiamo a correre. Ma un semaforo rosso alla piccola non è sfuggito.

“Non si passa!”

Ci mettiamo a ridere.

“Noi possiamo”.

Risponde l'autista, ma lei non è d'accordo.

Finalmente arriviamo a destinazione. Andiamo in reparto. Il trapianto lo farà nel pomeriggio. Ora c'è sotto un altro bimbo. Facciamo ancora la dialisi, meglio che l'organismo sia il più pulito possibile.

Chiamo una signora che avevo conosciuta a febbraio, durante il primo ricovero in questo ospedale.

Arriva poco dopo che Karolina è andata sotto i ferri. Aspettiamo che la portino in terapia intensiva. Non ho la più pallida idea di quanto tempo sia passato. Sembra comunque che sia andato tutto bene.

Ora dobbiamo solo aspettare. Si fa presto a dire "aspettare". Io non posso rimanere in ospedale. Elisabetta, la signora della quale ho parlato prima, mi invita a casa sua. Rimango da loro fino a che la bambina non verrà trasferita in reparto. Non so cosa avrei fatto se non l'avessi conosciuta prima. E devo dire che sono stata proprio bene da loro. Non ero da sola con i miei pensieri, e in questo momento questo era fondamentale.

In reparto ci troviamo nella stanza con, la mamma del bambino operato di mattina. La sua pelle ha un colore diverso, il suo Dio è diverso, i suoi abiti, e la lingua anche. Ma il suo sangue ha lo stesso colore rosso e le sue lacrime sono trasparenti come quelle di Karolina. Dove sta la differenza allora? Non certo in questa stanza.

In ospedale ho anche conosciuto Marisa. Non è più una mamma, o forse ora lo è più di prima. Prima cioè, che suo figlio adolescente, pochi giorni prima di morire, le dicesse:

“Mamma, non piangere. Anche se io non ci sarò più, tu potrai venire lo stesso, vedi quanti bambini ci sono. Porterai a loro il tuo sorriso”. Si chiamava Stefano morto solo qualche mese prima che io arrivassi con Karolina a fare il trapianto. Ma rimasto non solo nei ricordi, ma anche nel nome dell'associazione fondata dalla sua mamma (Il sogno di Stefano), e in tutti quei sorrisi che Marisa porta ogni settimana, ormai da 10 anni (sto scrivendo nel 2014) in questo ospedale. Ma non sono solo i sorrisi. L'associazione aiuta anche in modo molto concreto.

Una volta uscite dall'ospedale dovevamo fare dei controlli a giorni alterni. Questo ovviamente ci fa rimanere a Padova. E rimanere costa. Ho avuto il supporto  da parte dell'associazione nel cercare una sistemazione idonea ma anche dei contanti non solo per pagare l'alloggio ma anche per le spese minime. E non era affatto poco. Soprattutto per me che per natura non mi aspetto niente dalla vita, allora tutto ciò che arriva è già più del previsto.

Ma torniamo un passo indietro.

Quando Karolina è stata trasferita nel reparto, finalmente ho potuto rivederla. Si, magari con qualche tubicino in più (il catetere per le urine, la flebo per eventuale somministrazione dei farmaci) ma era di nuovo la mia bimba. Dopo pochi giorni stava già in piedi. Ho visto la sua pancia: non sarebbe passata al metal detector.  Aveva 47 punti metallici piantati lì, ma lei sorrideva. Stava bene fisicamente ma anche mentalmente. E questo mi basta. Allora anche il trapianto può non essere così terribile come lo immaginavo...che cosa potrebbe spaventarmi ancora?

Ora la nostra vita è legata ai controlli periodici: 3, 6, 12, 24 mesi e l'ultimo programmato a 5 anni dal trapianto. E poi? E poi niente, si va avanti. Il rene funziona bene ma il resto comincia a dare qualche segno di squilibrio. Cammina sempre peggio. Facciamo diversi esami. Elettromiografia agli arti inferiori (due aghi infilati nel muscolo, un po' di corrente che passa da un ago all'altro, e guardiamo come si comporta). Gli stimoli che arrivano ai muscoli sono pur sempre stimoli elettrici. È stato il primo esame dove ho visto piangere Karolina, vuol dire che il dolore era forte.

Secondo l'esame: biopsia del muscolo. Serve per vedere meglio la struttura dei nervi. Diagnosi: neuropatia periferica assonale. Traduzione per non addetti ai lavori: dal piede parte un corriere con un messaggio diretto al cervello, che dice che il piede vuole alzarsi. Durante il tragitto, visto la strada dissestata (rilevate con EMG difficoltà di trasmettere gli stimoli elettrici), dimentica qualche parola. Il cervello che riceve il messaggio, non è in grado di capirlo bene, anche a lui manca qualche tassello a causa dei danni subiti anni prima. Comunque deve rispondere. Allora anche lui manda il corriere con il messaggio, sempre sulla stessa strada sterrata. Il messaggio arriva ma il piede invece di muoversi avanti, si muove di lato. Risultato: Karolina cade.

Aggiungiamo a tutto questo anche l'effetto dei farmaci, che già da soli causano problemi di equilibrio.continua…

 

Krystyna Kubaczewska

 

KAROLINA ED IL SUO AMICO A QUATTRO ZAMPE

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