La selvatica Fumaria

Nome scientifico: Fumaria officinalis

Famiglia: Papaveraceae

Genere: Fumaria L.

Nome comune: Fumaria comune, Fumosterno

 

Durante i miei incontri di riconoscimento delle erbe spontanee, nei laboratori, all’inizio o alla fine dico sovente: “Se vi viene incontro un’erbetta, se la vedete spesso, se vi salta all‘occhio, andate a ricercare che pianta sia e a che cosa potrebbe essere utile. Vedrete, spesso potrà sembrare un messaggio profetico. Ascoltatelo, perché quando si incontra un‘erba, c’è sempre un perché”.

Sia chiaro l’erbetta magari è conosciuta per la cura di uno specifico dolore fisico, ma poi è bene andare a fondo, perché soffriamo di quel malessere? E’ la ragione che dovremmo curare, la causa, non, sempre e solo, l‘effetto.

Questa premessa per introdurre la selvatica Fumaria.

Per un decennio è stata mia consuetudine dedicare l‘inverno a camminate nei boschi, alle letture, allo studio, all’identificazione delle piante ancora sconosciute, fotografate durante l’anno trascorso.

Quell’anno avevo ritardato i miei lavori. Ero stata eccezionalmente male quasi per un mese intero e spaventata avevo contattato il mio amico e dottore in Germania. Si trattava di coliche della cistifellea. Il medico mi consiglia, conoscendomi, solo di evitare quel paio di cibi che mi irritano e di assumere tintura madre di carciofo all‘occorrenza. Mi rimetto. L’ecografia dopo la cura risulta ottima.

Torno ai miei diletti. E tra i miei scatti verdi dell’anno trascorso da identificare e catalogare … un’erbetta ritorna continuamente o solo con le sue foglie o con le infiorescenze … Ora è facile indovinare: la Fumaria officinalis! Anche detta erba dell’itterizia. Se l’avessi ascoltata e vista prima, magari avrei evitato dolori. E magari scongiurate le ragioni del somatizzare.

Scatenante fu la mia rabbia per la distruzione delle amate piante, che abitavano il nostro orto-giardino (vedi Consolida maggiore).

La Fumaria era già nota nell’antichità come regolatrice delle vie biliari. Dioscoride e Galeno ne apprezzavano le proprietà benefiche sulla depurazione del sangue e la prescrivevano per le malattie del fegato, per l’itterizia e pure per la dermatosi.

Attualmente, in Germania, la Fumaria officinalis è approvata per l’indicazione: “coliche che interessano la colecisti e le vie biliari, insieme al tratto gastrointestinale”.

La primavera è il suo periodo balsamico e si raccolgono le parti aeree e le sommità fiorite.

Fumaria deriva dal latino Fumus (= fumo), la pianta deve il suo nome all’acre odore che sprigionano le radici se viene estirpata, all’odore, molto simile a quello del fumo, emanato dalle foglie sfregate o per via della credenza popolare di provocare lacrimazione qualora il succo venisse a contatto con gli occhi, altri ancora si riferiscono al fumo spiacevole che produce quando è bruciata. Fumus terrae, fumo della terra che poi è diventato Fumosterno, è un altro suo appellativo.

Sempre interessante trovare i riferimenti nella letteratura. Quest’erbetta viene citata in “Il sogno d’una notte di mezza estate” di William Shakespeare. E’ nella lista dei fiori di Titania, Regina delle Fate, e bella sposa di Oberon, Re degli elfi. Shakespeare usava il suo nome dialettale fumiter, descrivendo la corona di fiori di re Lear impazzito: “Cantava a gran voce, incoronato d’acre fumiter (fumaria) e di erbacce di solco, di lappole [o forse bardana], di cicuta, di ortiche, di billéri, di loglio e di tutte le inutili erbe che crescono in mezzo al grano che ci sostenta”.

Era l’ultimo segno di disorientamento di Lear, che elevava le erbacce a corona. Pensate un po’!

 

Articolo e foto a cura di Daniela Di Bartolo

 

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