"Vado via da casa"

Comincio a cercare una sistemazione. Non voglio rimanere in quella casa, in quel paese, con quelle persone. Volutamente non ho usato la parola “famiglia”. Non basta essere sposati e aver generato dei figli, per essere una famiglia. Le carte firmate con le promesse di reciproco rispetto, e legami di sangue spesso sono insufficienti.

Trovo un annuncio per il lavoro come assistente domestica a circa 250 km da casa. Vitto, alloggio e credo qualche soldo, anche se non ricordo bene. Una signora distinta e disponibile. Mi dovevo occupare della casa, ma soprattutto dei suoi circa venti cani. Aveva un’impresa di lavorazione marmo, ed erano tutti cani da guardia.

Nessun problema. Ci siamo trovate subito bene. Pensava non solo a me, ma anche a Karolina. Credo di aver cominciato allora a scoprire le mie diverse capacità, o almeno vederle apprezzate. Mi preparava anche per il futuro, voleva che studiassi qualsiasi cosa mi venisse in mente. Dall'uso del PC (e siamo nei primi anni 90 in Polonia), all'inglese, alla danza. È stato un periodo veramente tranquillo.

Inizia la mia vita "da grande". Ma io non so cosa fare con questo essere. Sì, l'ho chiamata "essere". 

Ho sentito parlare dell'adozione. Vado ad informarmi. So che ci sono tante famiglie che vorrebbero crescere un figlio. Di sicuro potranno darle più di me.

Ma come faccio a sapere di che cosa ha bisogno? Mi hanno dato una bambina senza le “istruzioni d'uso”.

Sono andata ad informarmi. Ho parlato con la responsabile. L'unica parte del colloquio che ricordo è questa: “Sai che una volta che la porteranno via non potrai sapere più niente? Dove o come sta. Mai più”.

No, “mai più” non mi piace. Troppo drastico. Esco per non ritornare.

Intanto la piccola cresce, piano ma cresce. Mangia e dorme, veramente brava. Tutti i bambini dovrebbero essere così. Sembra un bambolotto. Oggi so che non era normale ma all'epoca andava bene. Nemmeno lei doveva disturbare. Continuo con i controlli, sembra che non ci sia niente di grave. Dovrà solo seguire una dieta con il latte artificiale. Ma non sarà proprio così. La malattia ha già causato un po' di problemi, un ritardo psicomotorio, anche se non mi sembrava grave. Valutare il ritardo di un bambino per una persona comune è abbastanza difficile, soprattutto se il bambino ha pochi mesi. Con il tempo queste differenze si cominciavano a notare sempre di più. Ha cominciato a camminare verso i due anni, e sempre con molta difficoltà, con cadute frequenti. A parlare ancora più tardi, e tutt'oggi il suo linguaggio è limitato. Anche questo fa parte della malattia. Ma l'importante era che non desse troppo fastidio, e in questo è sempre stata brava. Facevamo i controlli senza problemi, e anche se lentamente continuavamo ad andare avanti.

Credo di esser rimasta lì per circa un anno, e di non essere mai tornata in quel periodo alla casa vecchia.  Almeno fino al momento in cui un mio cugino ha proposto un lavoro diverso: viaggio in Italia a commerciare le piccole cose. Disse che si guadagnava bene. La piccola è rimasta con i miei e io ho iniziato quest'avventura.

Infatti all'inizio è stato così, ho guadagnato in due settimane ciò che prendeva un direttore di banca in due mesi. Ma non è andata avanti per molto. Intanto ho scoperto un nuovo mondo: la Sicilia. Che posto meraviglioso: palme, sole, mare, gente allegra e soprattutto che spende senza molta difficoltà. La “terra promessa”. Allora perché non trasferirci qui? Tra l'altro l'Italia risultava nei primi anni novanta un paese molto progredito, soprattutto paragonato alla Polonia. Detto, fatto. Più improvvisazione che programmi, il risultato è che nel giugno '92 ero già in Sicilia. Non tutto va come previsto, ma ormai il dado è tratto.

 

Krystyna Kubaczewska

 

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