Martedì, 20 Luglio 2021 11:19

Tumore al seno, la storia di Chiara: “L’altra faccia della malattia”

Particolarissimo il momento in cui, già arrivati a destinazione e non si tratta di una stazione ferroviaria, della reception di un albergo o di un campeggio, bensì di un attrezzato comparto operatorio, chi si troverà a breve sotto i ferri chirurgici, vede avvicinarsi il volto bardato dell'anestesista che chiede: “Come va?”. Nella risposta del malcapitato o fortunato, a seconda della ragione dell'intervento, si intuisce il temperamento, o almeno l'indole, dello stesso e, certamente anche il timore che non può mancare in un simile frangente. Chiara, ancora vigile, in quello strano mezzogiorno di fine maggio, scandì a chiare lettere: “Biglietto di andata e ritorno, mi raccomando”. E la dottoressa non poté esimersi da un sorriso e da un tocco rassicurante al braccio della predestinata. Già, proprio così, predestinata, poiché, quando sei a conoscenza di avere un carcinoma al seno, il fatto di essere operata, pur nella difficoltà e nell'incognita della situazione, è comunque un buon segno: è quindi un passaggio fondamentale da affrontare e da superare. All'incirca 40 giorni prima dell'intervento, quando Chiara era appunto in attesa "di quella telefonata", ne ricevette una proveniente dal nosocomio del capoluogo di provincia; ne fu sorpresa, anche un po' preoccupata, poiché non era in quella struttura che si sarebbe svolta l'asportazione del seno malato. Le veniva chiesto di andare, in mattinata, per una cosa che concerneva l'operazione e di cui non era corretto parlare al telefono. Ancora più preoccupata. Occorre però sottolineare una cosa: quando Chiara seppe che si trattava di cancro, dopo lo sconcerto iniziale, dopo le lacrime, assunse un atteggiamento che la sostenne tantissimo nello sviluppo della situazione: la forza, il coraggio e persino una sorta di ironia che fecero sì che riuscisse a sdrammatizzare in parte quello che, oggettivamente, drammatico lo era.

Ritorniamo alla misteriosa telefonata. In quattro e quattr'otto riuscì a trovare chi l'avrebbe accompagnata in ospedale anche perché, per ragioni diverse dal problema contingente, da alcuni anni le si era notevolmente ridotta la sua autonomia nella guida dell'automobile. Arrivati in città, Chiara entrò sola, trepidante ed anche incuriosita, nell'ala ospedaliera che si occupava dei tumori al seno; nell'ambulatorio c'erano due medici, le fu chiesto di togliere gli indumenti nella parte superiore del corpo e, uno dei medici iniziò a scattare alcune fotografie. Chiara, ancora, non aveva capito le ragioni di tutto ciò! C'è da dire che, a volte, la sua intelligenza tarda ad attivarsi, d'altra parte una volta capito quello che occorre comprendere, riesce a veder le cose molto lucidamente e a non dimenticarle più!

Finalmente il medico-fotografo aprì la bocca e le disse: “Sa, è per la ricostruzione del seno”. Dopo un brevissimo momento di smarrimento Chiara, in dialetto modenese, sbottò: “La ricostruzione? An ghe dobbi!!! (non c'è dubbio)”. Il che significa che, no, assolutamente, non l'avrebbe fatta. In genere quasi tutte le donne che vivono l'esperienza del cancro, si sottopongono a questo ulteriore intervento: Chiara, invece, fu decisissima a rifiutare la prospettiva di ritrovarsi, dopo l'operazione essenziale, altre ore su un tavolo operatorio, con le complicazioni che, un seno rifatto, avrebbe potuto presentare. E poi, per parlar proprio chiaro, quando sai che si tratta di un carcinoma, pensi solamente a toglierlo, con la speranza che il tutto si risolva e la tua vita possa continuare. Era questo ciò che Chiara pensava e fortemente sentiva in quella determinata, grave, situazione.
Ci fu l'intervento e, dopo quattro notti in ospedale, finalmente il ritorno a casa: ad aspettarla la sua meticcia. Iniziò l'attesa del referto istologico post asportazione e delle eventuali, assai probabili, terapie che tante, tantissime donne, hanno affrontato: chemioterapia, radioterapia, terapia ormonale. Durante quei giorni sospesi Chiara imparò, e mai lo avrebbe pensato, a farsi da sola l'iniezione quotidiana per aiutare la circolazione sanguigna e, alcune volte, le successe di ripensare, sorridendo, al momento in cui si era risvegliata dall'anestesia, di cui aveva sempre avuto enorme paura. Nel tempo dell'intervento era rimasta ad aspettarla Lorena, una sua cara amica e collega che, nonostante la numerosa famiglia ed il suo lavoro, aveva scelto di essere con lei, in quel delicato frangente. Chiara, al risveglio appunto, esclamò: “Lorena, che bello vederti! Sai che ho già fame”. La risposta fu una simpatica ed affettuosa risata accompagnata da queste parole: “Sei sempre la stessa!”.

Si susseguirono alcuni controlli per la medicazione e poi, finalmente, il fatidico, memorabile giorno..... quella mattina entrò nell'ormai familiare ambulatorio senologico in cui si trovavano il chirurgo che "le aveva messo le mani addosso" e il medico esaminatore dei tessuti. Ciò che Chiara udì, con chiarezza e profonda commozione fu questo: “Buone notizie, signora. Linfonodi negativi e da riunione collegiale abbiamo deciso che non necessita di alcun trattamento terapeutico”. Nessuno!! A questo punto del racconto ci tengo tanto, tantissimo, a scrivere una determinata cosa: la prevenzione dei tumori femminili occorre farla. E farla sempre. Nella storia di Chiara fu appunto la "diagnosi precoce" che le evitò il propagarsi del carcinoma ed anche un'eventuale terapia dopo l'asportazione del seno. Ritornando a quella memorabile mattina, ricorda ancora, come si fa a dimenticare, quanto si fosse sentita grata alla Vita e a chi l'aveva operata. Volle salutare e ringraziare il professore con un bacio sulla guancia, che lo sorprese e lo emozionò.

Dimenticavo di raccontarvi un episodio, verificatosi prima di entrare, per l'ultima volta in quell'ambulatorio, che potrebbe benissimo esser parte di una delle cosiddette comiche: avete presente Stanlio e Ollio? Dunque, Chiara si era accorta di aver dimenticato il borsone con i suoi effetti personali in reparto e quindi chiese ai due volontari della Croce rossa, che l'avevano accompagnata, se potevano andare a recuperarlo. Detto fatto: dopo una decina di minuti ritornarono con un borsone.... che non era quello di Chiara. Simpaticissimi volontari ultrasettantenni con cui aveva effettuato vari trasporti. Iniziarono a dirle: “Ma dai, tienilo, è bello. È nuovo in pratica”. E via dicendo. Ma lei, ridendo, rispose che preferiva ritrovare il suo. Ci fu la visita e il commiato dai bravi medici e poi, visto che Chiara cammina lentamente e a fatica, si ritrovò i due "amici" con una sedia a rotelle su cui si sedette. Destinazione....... reparto per recupero borsone!!! Arrivati al piano, entrarono, uno la spingeva veloce, l'altro le trotterellava al fianco. Esce la caporeparto dalla guardiola infermieri e li guarda con espressione tra il basito e l'accigliato: Chiara, con la sua ironia, le dice, passandole sotto il naso: “Mi son trovata così bene che son tornata”. Ecco, con questa scenetta concludo il lungo racconto appellandomi nuovamente alle Donne perché abbiano cura della loro salute. A distanza di tre anni circa, Chiara ha ancora ben presente, inoltre, quanto l'ironia e l'autoironia l'abbiano sostenuta ed aiutata in un periodo così particolare della sua esistenza. Grazie alla Vita.

 

Racconto a cura di Daniela Minozzi

 

 

 

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