La storia di Chiara: ''La morte del mio amico a quattro zampe''

Era una fredda giornata di gennaio; da lì a pochi giorni la piccola Chiara, scolaretta di terza elementare, avrebbe compiuto gli anni. Aveva un amico speciale che, al suo ritorno da scuola si esibiva, per la gioia di rivederla, in svariate piroette circolari che, ogni volta, mandavano in visibilio la bambina; si chiamava Ciufin, 7/8 chili di pelo chiaro ed una razza non ben definita, somigliante al volpino di Pomerania: così le aveva detto la mamma, spiegandole anche che questi cani provenivano da una specifica zona della Germania, denominata appunto in tal modo. Quel pomeriggio, rientrato dal cortile, in cui era solito andare almeno un paio di volte al giorno, Ciufin non stava affatto bene. La mamma aveva chiamato con urgenza il veterinario, prontamente accorso, e la bambina, chiusa nella sua cameretta, in ginocchio sul letto stava pregando perché il suo carissimo cagnolino potesse riprendersi. Con le mani giunte, cercando di non piangere, chiedeva al Signore che Ciufin non morisse. I grandi, ormai da tempo, le avevano insegnato che, con le preghiere sincere, Dio avrebbe potuto risolvere qualsiasi situazione: Chiara, quindi, snocciolava una preghiera via l'altra e sentiva se stessa ripetere, come in un mantra: “Ti prego, Signore, salvalo.... ti prego, Signore, salvalo.....”. Pur così piccola la bambina aveva già affrontato la perdita di un affetto grande: il suo adorato nonno, con cui faceva le gare di corsa e che aveva sempre, per lei, delle deliziose caramelle rotonde al tamarindo. Quando, un paio d'anni prima, la nonna e la mamma, il più dolcemente possibile, le avevano comunicato che il nonno era volato in cielo, aveva subito compreso che non lo avrebbe più rivisto. E questo doloroso evento aveva posto la bimbetta di fronte alla realtà e al mistero della morte. Per la prima volta.

Purtroppo, nonostante il prodigarsi del dottore, non ci fu nulla da fare. Ciufin aveva raggiunto il nonno, in quel luogo arcano e prorompente di pace in cui tutti gli esseri viventi, lasciato il loro corpo quaggiù, sono destinati a ritrovarsi. Per Chiara fu naturalmente un gran dolore a cui i genitori cercarono di sopperire adottando, alcune settimane dopo, un’altra bestiola dal canile della città; ciò non toglieva nulla all'importanza che Ciufin aveva avuto e all'affetto da lui arrecato alla loro vita anzi faceva sì che Chiara continuasse a crescere con un altro piccolo amico a quattro zampe. Questa modalità di nuova adozione, così vicina nel tempo alla perdita di un animale, cane o gatto che sia, Chiara l'ha poi perpetrata lungo tutti gli anni successivi della sua vita traendone anche, quand'era ragazza, una sorta di importante insegnamento: amare un'altra creatura ha insita in sé la possibilità, che spesso diviene realtà, della sofferenza, provocata dalla sua morte o dall'abbandono. Sviluppò quindi, nel corso dei decenni, l'accettazione del dolore in genere, quale componente inevitabile dell'esistenza.

Ritornando all'episodio di quel lontano giorno invernale, ciò che successe alla bambina, la sua invocazione perché il Signore salvasse il suo cagnolino e l'esito dell'accaduto, produssero in lei una grande delusione, che rappresentò il prodromo di una critica messa in discussione, pur, allora, in termini infantili, dell'approccio umano alla fede. Questo è lo spunto per alcune considerazioni su quello che significa la preghiera, una delle espressioni della fede in un'entità che si considera onnipotente ed onnisciente. Si nota, a tutt'oggi, che sono tante le persone che manifestano la fede essenzialmente come “richiesta”: di risoluzione di difficoltà e problemi, sempre legati a situazioni personali e familiari. Si invoca la guarigione o il miglioramento da una patologia, il miglioramento di una conflittualità matrimoniale o comunque affettiva, l'accettazione di una domanda di occupazione e via dicendo. Ho l'impressione che siano davvero parecchie le ragioni per cui s'intende "l'aver fede" sotto forma di richiesta, di domanda, di invocazione. Non intendo certo fare un discorso esaustivo su tale, importante, tematica; ritengo invece che, quella che può esser definita la vera fede, consista in un atteggiamento di Gratitudine. Ciò presuppone che la stessa non sia necessariamente espressa nei luoghi di culto, chiese e basiliche. E mi riferisco alla gratitudine in senso lato, innanzitutto per il valore della Vita, in ogni sua espressione; quotidiana gratitudine non soltanto per difficoltà o fatiche affrontate e superate bensì anche, e soprattutto, per le innumerevoli espressioni della Bellezza che riscontriamo negli altri, nella Terra che ci ospita. Ed aggiungete voi altre infinite e diversificate ragioni di Gratitudine. Come spesso succede il mondo dell'infanzia è foriero di grande positività.

 

Racconto a cura di Daniela Minozzi

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