I barbari ragazzini

''La sera di Capodanno del 1956 il Kungsgatan, l’arteria principale di Stoccolma, fu invaso da una turba di cinquemila adolescenti in furore. Indossavano pesanti giubbe di cuoio sulle quali figuravano emblemi di teschi e strane iscrizioni. Per ore i giovani tennero la strada molestando passanti, rovesciando automobili, frantumando le vetrine dei negozi ed erigendo barricate……''. Così Ernesto de Martino, antropologo italiano, descrive un episodio successo in Svezia molti anni fa ma che ripropone una violenza giovanile che, purtroppo, continua ad imperversare ancora oggi.

Un impulso distruttivo che vede gruppi di adolescenti che, a differenza di ieri, usano i social e senza neanche conoscersi tra di loro si riuniscono in bande temporanee, in un impulso distruttivo di annientamento delle cose e delle persone.  Ed è sconcertante quanto le descrizioni di questi adolescenti, somiglino a quelle bande di ragazzi che nei giorni recenti hanno dato vita a forme di guerriglia urbana in città europee e italiane. Lo stesso furore e il medesimo assembrarsi in gruppi di queste bande di ragazzini, “in preda al terrore della solitudine, simili a pinguini che si aggruppano sulla banchisa polare”.  Forse in determinati momenti storici di guerre, cataclismi ed epidemie la civiltà, il progresso e la scienza non bastano a rassicurare dall’ angoscia di non esistere e gli istinti distruttivi umani riemergono in superficie, risvegliando i “barbari” con tutta la loro violenza arcaica  e i loro simboli violenti e tribali,  tesi a distruggere  ''quanto, nell’uomo e intorno all’uomo, testimonia a favore dell’umanità e della storia''.

 Allora, se vogliamo difenderci da questa regressione culturale e umana, che ci sta attraversando in questa liquidità sociale, dobbiamo ri-mettere al centro la persona, non come consumatrice di beni materiali ma come essere vivente, che esiste nel rispetto dei suoi simili, della terra e degli altri esseri.  Al furore distruttivo si risponde con i valori condivisi: la storia e la memoria.

 

Articolo a cura di Emerita Cretella

 

 

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