Storia di Chiara: “Un impianto di protesi d’anca totale a 33 anni”

A 33 anni, quanti ne aveva allora Chiara, si è veramente troppo giovani per sottoporsi all'intervento chirurgico ortopedico di “impianto di protesi d'anca totale”; rappresenta infatti la soluzione ultima, la più radicale e definitiva, quando l'usura della cartilagine è talmente avanzata da non consentirti nemmeno di camminare per una ventina di metri, se non al prezzo di un gran dolore. Questa era già la condizione di Chiara, a poco più di trent'anni; le si pose di fronte un'importante decisione, un vero e proprio aut aut: farsi operare e quindi riuscire ad essere, lavorando, economicamente autonoma oppure chiudersi in casa, facendosi mantenere in qualche modo e posporre gli interventi (poiché si trattava di entrambe le gambe) a quando avesse superato la cinquantina o anche di più. Chiara ebbe subito le idee chiare, pur nella complessa delicatezza della situazione: sottoporsi agli interventi e poi continuare, passo dopo passo, la sua vita.

Con quell'autosufficienza economica non indispensabile bensì, per lei, vitale. Ma veniamo all'episodio che intendo raccontare. Dunque: siamo a Saint Etienne, città relativamente vicina a Lione che, come ben saprete, si trova in Francia. Perché non in Italia? Perché in Italia, in quegli anni, primi anni novanta, tramite la sanità pubblica non venivano impiantate protesi d'anca in persone così giovani ma..... udite, udite..... nel privato sarebbe stato possibile, previo pagamento di 40 milioni di lire ad intervento. Lascio a voi i commenti o meglio le sensate considerazioni. La soluzione dell'estero, nel cui ospedale, per lo stesso motivo, a spese della regione di residenza, era stata operata una coetanea di Chiara, si prospettò per questa ragione. In quei giorni d'aprile, dunque, accompagnata da una cara amica di una vita, che l'avrebbe assistita nel post operazione, Chiara fu ricoverata nel nosocomio ed operata. Intervento considerato, in campo ortopedico, tra i più importanti ed anche impegnativi per l'organismo del paziente, visto che si trattava di sostituire una parte dell'osso in sofferenza, eliminandola, con una protesi metallica che funga da articolazione.

Già dai primi accenni del risveglio dall'anestesia Chiara si sentì alquanto spossata e, nei giorni successivi, questa sensazione fisica non si attenuò, al punto che non riusciva nemmeno a mangiare: le sembrava che le fosse passato sopra un camion, lasciandola illesa ma stremata. A distanza di tempo si rese conto che qualcosa, nell'anestesia, non era andata per il verso giusto, certamente per la somministrazione di un mix di farmaci particolarmente pesante: infatti quando l'anno dopo le fu impiantata l'altra protesi, si svegliò tranquillamente, sentendosi fisicamente bene. Il decorso post operatorio sarebbe durato circa 10 giorni, poi l'avrebbero trasferita in un centro di riabilitazione in cui avrebbe seguito le necessarie terapie fisiche. In quella stanza d'ospedale, lontana centinaia di chilometri da casa sua e, fortunatamente con la presenza di Sonia, la giovane donna non riusciva a nutrirsi. L'amica allora escogitò quello che si rivelò quel quid per migliorare la situazione; aveva portato da casa un piccolo fornello elettrico e, confidando nella bontà e nelle "proprietà curative" di un piatto di spaghetti aglio, olio, peperoncino, decise di prepararli; a Chiara piacevano tanto e acconsentì all'idea. Ah, furono proprio una panacea! Rimedio per tanti mali. Chiara li mangiò con gusto, accompagnati da una manciata di ottimo parmigiano reggiano grattugiato. Le si aprì proprio lo stomaco e le forze ritornarono. Le due amiche non avevano però preso in considerazione una cosa: il profumo dell'aglio! Che, naturalmente, nonostante la porta chiusa, si diffuse nel corridoio del reparto di ortopedia. Tale fu il sollievo che la paziente si fosse nutrita, che l'umore fosse migliorato, che le forze stavano ritornando.... che non ci pensarono proprio.

Trascorse l'intera giornata. Il mattino dopo ci fu quasi un'irruzione nella stanza di Chiara, da parte di due infermiere, una delle quali intimò, in un francese comprensibilissimo “Madame Minossì, interdiction de faire la pasta' a l'ail!!!”. Rimasero allibite ma, appena uscite le solerti infermiere, scoppiarono in una sonora risata. Indimenticabili furono quegli spaghetti proibiti, aglio, olio, peperoncino! Certamente, visto che i pregiudizi sono, ahimè, diffusi ci saranno stati commenti derisori sugli italiani in genere. Ma che importava? Chiara si stava riprendendo e giunse il giorno del trasferimento in un’altra struttura ospedaliera. Furono riunite le sue cose e.... sul fondo del cassetto l'infermiera trovò.... sapete cosa?? Una testa d'aglio. E l'ultimo saluto da parte del personale, porgendo l'oggetto del ritrovamento alla ragazza fu: “Madame Minossi', l'ail, l'ail!”. Chiara rispose: “Oui, oui. Au revoir”.

 

Racconto a cura di Daniela Minozzi

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