Ilaria Cariello: In uno scatto la mia luce

Ilaria Cariello è una giovane fotografa professionista. La ritengo una ragazza profondamente sportiva e le chiedo se condivide questa definizione.

"Ho iniziato a calcare le pedane di scherma quando avevo quattro anni, frequentando lo storico circolo Fides di Livorno, fucina di campioni olimpici e mondiali. A 18 anni, dopo vittorie anche a livello internazionale, ho lasciato questa disciplina per intraprenderne un’altra".

 

Eppure avevi risultati di buon livello e ottime possibilità future!

"Si, ma la scherma ad alti livelli, sia sul piano fisico che mentale, era diventata troppo impegnativa. Poi notavo troppe cose che non condividevo e che, in quei momenti, vivevo come ingiustizia".

 

Cosa hai portato con te di quei momenti schermistici?

"L’impronta caratteriale, la determinazione, la voglia di fare e la volontà di capire chi mi sta davanti. Con la scherma impari ad osservare gli altri".

 

Poi sei passata all’atletica leggera. Perché? Anche questo è uno sport estremamente impegnativo.

"Per prima cosa mi sono resa conto che dovevo cambiare qualcosa per stare bene. Mi sono detta “Voglio concentrarmi più su me stessa che sul contesto”, e così ho fatto. L’atletica è forse ancora più difficile di altri sport, soprattutto perché l’avversario da battere sei sempre tu. Ti tira fuori i limiti con i quali devi fare i conti e ti sprona ad un lavoro su te stessa lungo, meticoloso ed estenuante. Ti fa superare le barriere e ti sprona al miglioramento dandoti la giusta dimensione di un valore che è solo tuo, non condizionabile da altri".

 

Qualcuno ti ha descritto come una Wonder Woman, una combattente con l’agilità di un felino.

"Non esageriamo, so che ti riferisci a ciò che è stato scritto sui giornali quando sono intervenuta per sventare un tentativo di furto. Non mi piace che l’influenza mediatica abbia sfruttato la mia immagine. Ho agito di istinto, non ho pensato alle conseguenze belle o brutte. Ho fatto solo quello che, a parer mio, ogni persona con un minimo di valori e di altruismo avrebbe dovuto fare. Lo sport mi ha dato la reattività e la preparazione fisica, i miei genitori mi hanno educata a non girare mai la testa da un’altra parte".

 

Ma allo sport di “pedana” hai aggiunto l’interesse per la fotografia.

"Le emozioni che ti dà la fotografia sono inestimabili. Ho cominciato ad apprezzarla vedendo le foto che mi faceva mio padre, ma io sono andata oltre. Fortunatamente i miei genitori mi hanno aiutata in questa scelta coraggiosa. Fotografare è un lavoro molto impegnativo, dietro c’è tanto impegno e tanto studio ed i risultati non sono mai scontati. Mi sono iscritta all’ Accademia Internazionale di fotografia di Firenze APAB. Questa mi ha dato le basi per lavorare da sola. Ho fatto tirocinio con Massimo Sestini, premio Pulitzer di fotografia, alla New Pictures agenzia di Firenze. Con lui ho fatto foto giornalistiche e poca parte sportiva. All’interno del mondo sportivo sono andata avanti da sola".

 

Qual è la tua fotografia più bella?

"La foto migliore è sempre quella che non hai ancora scattato. Adesso sto impegnandomi seguendo le imprese sportive di Andrea Lanfri all’interno del suo progetto FromOtoO. Andrea è un atleta amputato. A causa della meningite è privo di arti inferiori e delle dita. Nel maggio del prossimo anno sarà il primo uomo con doppia amputazione a tentare la scalata dell’Everest. L’ho seguito, in questi giorni, in una mini sfida di preparazione tra Lerici e le Alpi Apuane. La seconda tappa avverrà a Catania con l’obiettivo di scalare l’Etna".

 

Ti sei dovuta allenare anche tu?

"Non quanto lui.  Da Lerici ha percorso 66 km in bicicletta fino alle Apuane, dove ha poi scalato il monte Pisanino. Una volta lì ho dovuto scalare anch’io per poter fare foto di un certo livello. Per fortuna la preparazione fisica mi ha sorretta! Durante la discesa, Andrea si è cambiato le protesi ed ha corso fino alle pendici del monte. Poi di nuovo 20 km di bicicletta nel ritorno ed ancora 40 km di corsa fino a Lerici. È una forza della natura!"

 

E le fotografie durante i km in piano?

"Le ho fatte dal bagagliaio dell’auto. Mi sono pure divertita e, a parte la fatica, avevo il cuore pieno di gioia".

 

Cosa cerchi di trasmettere con i tuoi scatti?

"Emozione. Cerco qualcosa che emozioni chi guarda, tanto quanto me che scatto. Quando Andrea è arrivato in fondo alle sue fatiche ha alzato in alto le sue braccia. Ecco, in quel momento mi sono emozionata. Così vorrei si emozionasse anche chi guarda il fermo immagine di quel momento. In un semplice scatto c’è tutta la sua storia e la sua anima. In un semplice scatto c’è una vita intera".

 

C’è una foto dove ti identifichi in qualche modo?

"Si, è una foto che mi ha fatto papà nel giugno del 2013. Dopo il mio primo salto in lungo oltre i sei metri. Sono io che urlo in mezzo al prato, che mi libero dalle tensioni della gara e che gioisco di me stessa. Quella sono proprio io!"

 

 

Articolo a cura di Patrizia Gini

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