Martino Seravalli: Il coraggio di rinascere

Martino Seravalli è un giovane poco più che trentenne. Dieci anni fa un grave incidente di sci ha cambiato radicalmente la sua vita.

 

Cosa è cambiato realmente in te?

La disabilità è un cambiamento significativo per come sei costretto a guardare il mondo. Stare in piedi è diverso dallo stare seduti. Sono diversi i punti di vista di un soggetto che si trova discriminato in un contesto strutturato solo per chi può muoversi liberamente.

 

Quanto la società è pronta e sensibile alla diversità?

Paradossalmente ho trovato più sensibilità dieci anni fa rispetto ad adesso. Ho trovato persone che, già schierate in prima linea, portavano avanti la battaglia per i nostri diritti. Mi hanno dato una mano e, come spesso capita, ci siamo sostenuti a vicenda.

 

Chi sono stati i tuoi paladini?

Claudio Rigolo campione di tennis e fondatore di Sport insieme Livorno è stato il mio maestro, poi, Mariella Bertini, Katia Del Vento e Soriano Ceccanti, campioni di scherma olimpica in carrozzella.

 

Tutti personaggi del mondo dello sport paraolimpico?

Si, per la maggior parte, perché tramite lo sport si ha la possibilità di ritrovare la propria identità e la propria vita. Per merito dello sport non mi sono sentito mai solo. Ho visto che c’era già un qualcosa intorno a me, anzi, ho trovato molta volontà di associazionismo.

 

E in dieci anni non sono migliorate le cose?

Direi di no, anzi, direi che siamo tornati in dietro. In questo momento, anche economicamente difficile, vi sono ancora più difficoltà per i più deboli. Le persone hanno più timori ed incertezze per il futuro e si rifugiano in se stessi. Vi è un egoismo indotto, dove si cerca di autotutelarsi. I valori non stanno più nel dimostrare la buona volontà nell’aiutare altri, ma nella capacità di rimanere a galla per se stessi. Associazioni ed enti statali e sostegni di privati vanno a scomparire. Dieci anni fa non era così.

 

Pensi che sia una crisi temporanea?

Temo di no. Credo che la società si stia gradualmente abituando ad una minore sensibilità. Si è più alla ricerca di cose meritevoli solo se gratificate economicamente. L’associazionismo rimane legato a persone che non hanno problemi di denaro o di tempo. I giovani preferiscono trovare lavoretti dove esiste qualcosa di più rispetto ai semplici rimborsi di spese, e il lavoro richiede tempo ed i giovanissimi non ne hanno, ed i meno giovani, lavorano ben oltre i 65 anni.... Dopo sono loro ad avere necessità di sostegno.

 

Quanto può aiutare lo sport?

Tantissimo. Sia per riprendere la vita in mano che per la fiducia in se stessi. È una vittoria interna, è il poter dire “ho superato anche questa difficoltà “ . Credo che si tratti di una riabilitazione sia fisica che psicologica.

 

Chi ruota intorno alla organizzazione dello sport per disabilità?

Il Comitato Italiano Paralimpico (CIP), è un Ente autonomo di diritto pubblico costituito il 17 febbraio 2017, con lo scopo di curare, organizzare e potenziare lo sport italiano per disabili. È, di fatto e di diritto, la Confederazione delle Federazioni e Discipline Sportive Paraolimpiche, sia a livello centrale che territoriale, alla stregua del CONI per le discipline olimpiche, e riconosciuta dal Comitato Paraolimpico Internazionale.

 

Quali sono stati gli sport che hai praticato in questi dieci anni?

Ho iniziato con il tennis, poi con la parte acquatica: tavola da surf e nuoto. Ho partecipato ad un progetto boxe in carrozzina, ma ancora non è stato riconosciuto come sport paraolimpico. E la scherma.

I tuoi migliori risultati?

Nella scherma. Ho iniziato arrivando terzo nel campionato italiano di fioretto. Il secondo anno, nel 2016, ho vinto in finale su William Russo, imbattuto da diciassette anni. Sono stato seguito dai maestri Marco Vannini e Claudio del Macchia, ma, in quel campionato italiano, a fondo pedana avevo il “maestro dei maestri” Antonio Di Ciolo, purtroppo deceduto alcuni giorni fa per un male incurabile. Ho partecipato ai campionati Europei e Mondiali nel 2017. Nel 2018 ho vinto l’argento nel fioretto e il bronzo a spada.

 

Nel frattempo ti sei laureato in economia e commercio?

Si, ma non ho usufruito della mia laurea. Il lavoro di ufficio, per me, non è stimolante. Sono un creativo, ho necessità di relazioni interpersonali, non mi adatto ad uno stile di vita di routine. Ho cambiato strada. Mi sono dato un anno di tempo per studiare chimica, fisica, biologia e matematica, ed ho superato il concorso per dietista. Questa per me è stata una grande soddisfazione, perché sono arrivato terzo su duecento, facendo tutto da solo, senza aiuti e senza sconti.

 

Quindi nel tuo futuro ci sarà questo nuovo lavoro?

Si, e non solo. Sto diventando padre. L’11 gennaio io e la mia compagna Khate diventeremo genitori.

 

Come ti vedi come padre?

Credo sarò un buon padre, nei momenti del bisogno ci sarò sempre. Ci riuscirò. Ho avuto una bella famiglia. I miei sono stati un pilastro per la mia vita. Anche nei momenti peggiori sono stati di un valore immenso. Mi hanno insegnato che quando c’è l’amore in famiglia possiamo sostenerci e superare ogni difficoltà.

 

Ricordo la tua mamma come tua grande sostenitrice e tifosa.

Non so ancora cosa si provi a seguire la gara di un figlio. Ma vedendo mamma, deve esserci una grande tensione. Durante una gara a Milano stavo perdendo 9-0 . Il suo tifo mi ha spinto a riprendermi e a vincere 15-13. Non so quanti anni di vita stava perdendo seguendomi. Sicuramente li ha recuperati tutti alla fine.

 

E a Palermo, durante la finale dei campionati nazionali?

Questa cosa mi fa ancora sorridere. Alle 8 di mattina erano iniziati i gironi eliminatori e la finale era prevista alle 21 in piazza Bellini a Palermo.  A fine giugno il caldo era infernale. Per noi la termoregolazione è un problema che può provocarci malesseri anche di grave entità. Mi ricordo che mamma si arrabbiò molto tacciando di incompetenti ed irresponsabili gli organizzatori, e se la prese con colui che credeva fosse il responsabile della manifestazione. Peccato che invece si trattava di Giorgio Scarso, Presidente della Federazione Italiana Scherma. Credo comunque che adesso, tutti presteranno più attenzione e sensibilità nei confronti di noi disabili, con gli orari e la durata delle gare.

 

Qual è il messaggio che vorresti trasmettere nei confronti delle categorie che attualmente risultano essere più deboli?

Che devono mantenere vivi gli interessi, anche per le battaglie che si sono già fatte. Le persone tendono a dimenticare, e dimenticando i diritti acquisiti si perdono. Le donne hanno difficoltà maggiori in ogni campo. Una donna deve sempre lottare di più per ogni cosa. Troppe cose non vengono capite dagli uomini e quindi non sempre vi è la giusta considerazione. Ad esempio io non so “essere in cinta “ com’è. Noi uomini non riusciamo a capirlo. Ma per una donna è forse un momento particolarmente bello ma anche difficile, dove le incertezze per la propria salute e per il futuro vengono fuori.  Eppure anche la raggiunta tutela per la maternità sta perdendo potere. Sempre più spesso le donne devono rinunciare, in nome della carriera e del lavoro, ai diritti. Se non si manifesta, se non si ripropongono con costanza e su tutti i fronti, i riconoscimenti dei diritti, la società li elimina. Mai abbassare la guardia. Le battaglie si scordano, e le conquiste si perdono anche velocemente. Le persone dimenticano, la gente tende a marciare contro i più deboli per paura che questi ottengano maggiori diritti e tutele rispetto alle masse. Questo non è evolversi per il bene della società. E dobbiamo sempre tener presente che chi adesso può vivere sereno e tranquillo, libero da ogni tipo di necessità, un domani potrebbe trovarsi proprio dalla parte di chi oggi invoca un sostegno. La vita ha il potere di cambiare improvvisamente le carte di ogni partita.

 

Grazie Martino.

Grazie per la tua sensibilità.

 

 

Articolo a cura di Patrizia Gini

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