Sabato, 17 Luglio 2021 11:14

Lei piange, di nascosto

Lei piange, di nascosto, in bagno con l’acqua che scorre, il test è positivo, i suoi due bambini stanno litigando, urlano e la chiamano, sbattendo i pugnetti sulla porta.

Lei alza il viso, si guarda allo specchio, gli occhi rossi e gonfi, asciuga le lacrime e sorride. Sì, sorride, un figlio è pur sempre una benedizione, un buon motivo per resistere, imparare a incassare i colpi, i pugni, gli schiaffi, i calci.

Lei sa bene come fare, sa rannicchiarsi, sa come proteggere il suo ventre, l’ha già fatto due volte.

Riuscirà anche questa.

Risponde al richiamo, asciuga gli occhi, esce e abbraccia i suoi bimbi.

Ma piange.

Lei si chiama Giulia, Maria, Giovanna, Monica, Alessandra, Francesca….

Con lei migliaia di donne al mondo.

Sembrerebbe facile dire: “Vai via, scappa, denuncia e chiedi aiuto”.

È tutt’altro che semplice invece. Ogni storia va letta nel contesto in cui la donna vive, nel Paese in cui vive. Vi sono Nazioni che hanno emanato leggi apposite, Nazioni come la Spagna che sull’onda delle proteste dopo sentenze aberranti, attuano riforme di legge, molte hanno sottoscritto la convenzione di Istambul. Le donne, tuttavia, sono spesso costrette al silenzio, per paura; laddove sempre troppo forti sono la mentalità e i retaggi che portano a deviazioni che continuano a colpire le vittime di violenza, di qualsiasi violenza, anziché, tutelarle. Non ultima la paura di vedersi portare ciò che amano di più, come sempre più spesso accade: un ricatto che le colpisce, utilizzando quello che è più forte in loro, l’amore incondizionato per i propri figli.

Le donne si sentono forti, sanno di avere la capacità di sopportare, di comprendere e no, non sempre, non tutte pensano al fatto che presto potrebbe arrivare il giorno degli ultimi schiaffi, delle ultime coltellate.

Quando denunciano sono costrette a sottoporsi a calvari non meno faticosi, tenendo conto che anche solo fare il primo passo richiede uno sforzo non indifferente, arrivando così davanti a chi raccoglie la denuncia quasi al minimo delle sue potenzialità. Noi vogliamo con forza e determinazione sostenere e aiutare tutte, ascoltare ogni loro racconto perché non ci possono essere leggi e soluzioni uguali per tutte. Non desideriamo alzare la voce, ma semplicemente espanderla, diffonderla, farla udire in ogni angolo oscuro dove donne sole e impaurite cercano di nascondersi, desideriamo che questa voce si senta ovunque, pacata, accogliente, ma determinata. Lo scopo è quello di dare a tutte la certezza e la coscienza dei propri diritti dalla parità sul lavoro, al rispetto in ogni ambito, nonché a quello del diritto alla vita. Non perché siamo donne, ma semplicemente in quanto persone.

Siamo un gruppo di donne mosse dalla necessità più che dal desiderio di dare un aiuto concreto, un sostegno a tutte le vittime di soprusi e violenze, le più disparate.

Solo durante gli ottantasette giorni di quarantena della scorsa primavera gli omicidi sono stati cinquantotto: una donna su due, quindi, ha perso la vita chiusa nella sua casa. Le donne da noi hanno trovato e trovano tutto quello che spesso viene a mancare presso le istituzioni, un vero ascolto, la comprensione, il rispetto, ma anche il sostegno di professionisti quali psicologi e avvocati.

Millenni di sottomissione ci hanno insegnato a incassare i colpi, a tacere, ma ci hanno anche fatto comprendere che per sopportarli abbiamo avuto una forza enorme. Consapevoli di quella forza ora noi la vogliamo utilizzare per rimettere ordine nelle cose, definitivamente. Per ottenere tutti quei diritti che ci sono stati negati fino ad oggi. Noi donne abbiamo per primo il dovere di sostenerci, di gettare alle nostre spalle l’abitudine a non essere solidali, questo ci è stato insegnato, questo dobbiamo disimparare. Dobbiamo essere unite e sostenerci in nome delle nostre mamme, nonne e bisnonne che sono state vittime del patriarcato, in nome di ogni donna uccisa per mano di chi le aveva promesso amore, e anche per mano di istituzioni indifferenti o di giudici di parte.

 

Articolo a cura di Stefania De Girolamo

 

 

 

 

 

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