Sibilla Aleramo: "Non so se sono stata donna, non so se sono stata spirito. Sono stata amore"

“La sua non era più gelosia: era un livore oscuro, era umiliazione, era mania d’imporsi, come per sfida, vedendo affermarsi la possibilità della mia indipendenza.

Accettando l’unione con un essere che m’aveva oppressa e gettata a terra piccola e senza difesa, avevo creduto di ubbidire alla natura, al mio destino di donna che m’imponesse di riconoscere la mia impotenza a camminar sola” (“Una donna” di Sibilla Aleramo)

Rina aveva 15 anni quando fu stuprata.

Si era trasferita con la famiglia a Civitanova Marche a seguito di un'allettante offerta di lavoro ricevuta dal padre.

Fu proprio un uomo alle sue dipendenze che la violentò.

Il suo nome era Ulderico Pierangeli.

Rina rimase incinta e fu costretta a legarsi in matrimonio con il suo stesso violentatore.

All'epoca la chiamarono un'unione riparatrice.

Non partorì mai quel bambino.

Era il 1893.

L'unione dei suoi genitori, Ambrogio Faccio (professore di scienze) ed Ernesta Cottino (casalinga), non fu un esempio di felicità.

Sua madre affetta da depressione, tentò di togliersi la vita e a causa delle sue continue crisi fu ricoverata nel manicomio di Macerata, dove morì nel 1917.

La madre rinchiusa tra mura di cemento, prigioniera della sua stessa mente, Rina costretta in un rapporto fatto di violenze psicologiche e fisiche.

Rina cercò un figlio da suo marito e diede alla luce Walter con la convinzione che la sua condizione di madre le avrebbe permesso di sfuggire al suo dolore.

Sperava che prendersi cura del suo bambino, avrebbe alleviato la sofferenza che la accompagnava costantemente.

Non fu così e quando si rese conto che la sua, era un'illusione, Rina si avvelenò.

Il tentativo di porre fine alla sua esistenza fallì e quando si riprese Rina iniziò a scrivere articoli, racconti e a collaborare con periodici come “Vita Moderna”.

Aveva solamente la licenza elementare.

Con la famiglia del marito si trasferì a Milano dove le venne offerta la direzione di una rivista femminile.

Tentò in ogni modo di separarsi da Ulderico, ma lui glielo impedì con continue percosse e minacce.

Fu solo nel 1901 che riuscì a trovare il modo di liberarsi.

Le sarebbe stato concesso di andarsene solamente se avesse rinunciato a suo figlio.

Rina lo fece e iniziò una nuova vita.

Fu per lei una decisione straziante.

Nel 1906 pubblicò il suo primo libro “Una donna” e divenne Sibilla Aleramo.

Tra le pagine di “Una Donna” Sibilla raccontò in parte la sua storia, dall'infanzia fino alla decisione di lasciare il marito e suo figlio in nome di una diversa possibilità di vita.

Il libro, tra le altre cose, parla del sacrificio richiesto alle donne da un'ideologia ipocrita e costrittiva.

Nel 1919 pubblicò il suo secondo lavoro “Il Passaggio”, che Pirandello descrisse così: “Pochi romanzi moderni io ho letti che racchiudano come questo un dramma così grave e profondo nella sua semplicità e lo rappresentino con pari arte, in una forma così nobile e schietta, con tanta misura e tanta potenza”.

Sibilla non fu mai convenzionale nelle sue relazioni.

Ebbe rapporti tormentati, si legò sentimentalmente sia a donne che uomini.

Soffrì per la tragica morte di uno dei suoi amori.

Scrisse “Amo dunque sono” (1927) e lo dedicò a Goffredo Parise, la raccolta di poesie “Selva d'amore” sono frutto dell'incontro con Matacotta, uno studente molto più giovane di lei del quale si innamorò e con il quale rimase per dieci anni.

Dalla sua relazione tormentata con Dino Campana (poeta che venne internato), fu tratto un film diretto da Michele Placido nel 2002.

Con suo figlio Walter, Rina non costruì mai un rapporto, lui si rifiutò di avere contatti con lei.

Si incontrarono più di trent'anni dopo che lei lo lasciò, ma a nulla valse il rivedersi, se non ad accorgersi che mai era esistito e mai ci sarebbe stato tra i due il legame tra madre e figlio.

Si rincontrarono soltanto in occasione della morte del figlio diciottenne di lui e infine sul letto di morte di Rina.

Sibilla frequentò salotti, conobbe tantissimi personaggi tra i quali, D'Annunzio, Grazia Deledda, Salvatore Quasimodo.

Scrisse concetti, ripresi anni dopo da Simone de Bauvoir

Al congresso delle Donne italiane nel 1908 incontrò Cordula Poletti che lei stessa definì la “fanciulla maschia”, perché libera da quelle convenzioni sociali legate a stereotipi sessuali. Rimasero così affascinate l'una dall'altra da intrecciare una relazione.

Per le sue scelte di vita, per le sue libere relazioni, per i suoi scritti, per le sue idee politiche fu giudicata, a tratti disprezzata e fischiata.

Morì a Roma a 83 anni.

Sibilla nella sua vita si è posta domande alle quali ha cercato di dare risposte.

Ha vissuto momenti strazianti di dolore e altri di passione.

Le sue opere poetiche sono molte.

Ha pubblicato libri nei quali ha raccontato se stessa e ciò che le è accaduto nel tentativo di far comprendere la necessità di modificare una mentalità maschile che voleva la donna a completa disposizione dell'uomo. Nel farlo ha cercato di instillare nell'animo femminile la consapevolezza che un cambiamento radicale doveva avvenire anche e soprattutto nella donna per poter avere la possibilità di una vita diversa da quella imposta dagli uomini.

Chi era realmente Sibilla?

Rispondo con una definizione che lei ha dato di se stessa: “Non so se sono stata donna, non so se sono stata spirito. Sono stata amore.”

 

Pubblicato da Direttrice Responsabile

 

 

Condividi