Elisabeth Kùbler Ross: “La morte e la vita dopo la morte”

“Potrai lavorare come segretaria o prestare servizio in qualche casa, ma non riuscirai mai a studiare medicina”

Queste furono le parole che ancora bambina, Elisabeth si sentì dire da suo padre.

La più fragile di tre gemelli, non si lasciò fermare da quello che di lei pensava suo papà.

All'età di sedici anni lasciò la sua casa, agguerrita nel voler intraprendere da sola la propria strada.

Durante la seconda guerra mondiale Elisabeth si mise a disposizione per accudire gli ammalati. Quando poi come studentessa di medicina si recò in visita a quello che era stato il campo di concentramento di Maidanek in Polonia, rimase colpita dai tantissimi disegni raffiguranti farfalle che vide incisi sulle pareti dei muri.

Mentre frequentava l'Università di medicina di Zurigo, conobbe uno studente nella sua stessa facoltà, l'americano che sarebbe in seguito diventato suo marito.

Si trasferirono insieme negli Stati Uniti.

Nel 1963 Elisabeth si laureò in psichiatria all'università del Colorado.

Quello che però divenne importante per Elisabeth fu il trattamento riservato ai malati terminali.

Riscontrò che, a chi stava morendo, non veniva riconosciuta nessuna dignità.

Spesso i moribondi erano emarginati, dimenticati da chi era troppo occupato o insensibile difronte alla loro condizione.

Elisabeth iniziò a sedersi accanto ai malati senza speranza di guarigione, a dedicare loro il suo tempo, la sua attenzione.

Li ascoltava, dava loro il conforto del quale reputava avessero bisogno, li accompagnava in un percorso che avrebbero altrimenti compiuto nella più completa solitudine.

Ignorando tutti i protocolli esistenti, quelli che si dimenticavano dei malati terminali, relegandoli ad essere invisibili, si fece non pochi nemici tra gli stessi dottori suoi colleghi.

In tanti non vedevano di buon occhio i suoi metodi, né approvavano tutto il tempo che lei dedicava a persone che secondo i medici non aveva nessun senso accudire visto la loro ormai certa condizione.

Non si diede per vinta e impegnò le sue energie a favore di quello in cui credeva.

Pubblicò il suo primo libro “La morte e il morire” nel 1969, testo che la rese famosa e contribuì ad accrescere l'attenzione sul trattamento dei malati terminali.

Elisabeth continuò nel suo impegno e organizzò dei seminari durante i quali erano gli stessi malati terminali a parlare delle loro condizioni, delle loro sofferenze.

Alla fine degli anni 60 i suoi seminari diventarono corsi accreditati e di fatto Elisabeth gettò le basi per quelle che conosciamo oggi come cure palliative.

Attraverso i suoi seminari, ascoltando le testimonianze dei malati terminali, creò il modello a cinque fasi che permette di comprendere lo stato mentale di un paziente al quale viene diagnosticato un male incurabile.

Negazione

Rabbia

Contrattazione

Depressione

Accettazione

La sua sensibilità unità al suo lavoro, permise di dare importanza anche alla parte psicologica oltre che a quella fisica di una malattia incurabile.

Quello che riuscì a comprendere della sofferenza e del modo per poter essere d'aiuto alle persone in fin di vita, fu creduto valido anche per chi la perdita era costretto a subirla.

Il suo lavoro riuscì così ad aiutare moltissime famiglie.

Ancora oggi a tanti anni di distanza dalla morte di Elisabeth, il suo lavoro è di conforto per i malati e allo stesso modo per chi li vede prima soffrire e poi morire.

La Dottoressa Elisabeth Kùbler Ross scrisse tantissimi libri sulla morte e i proventi furono usati per organizzare ritiri concepiti per aiutare le persone ad affrontare la malattia o a superare una perdita.

Sempre rivolti a tutti coloro che ne sentissero il bisogno, gli incontri affrontavano sempre tematiche legate anche alle paure che si scatenano alla fine della vita.

Elisabeth maturò la convinzione della sopravvivenza dell'anima rispetto al corpo e la morte divenne per lei solamente un momento di transizione.

Per le sue idee della vita oltre la morte fu criticata dal mondo scientifico, poco disposto per natura a credere a qualcosa che non possa essere dimostrato attraverso la scienza.

Nel 1999 la rivista Time la nominò come una delle più grandi menti del secolo.

Elisabeth morì il 24 Agosto 2004 circondata dall'affetto di amici e familiari.

Sono molti i testi che ci ha lasciato.

La testimonianza del suo operato travalica le pagine scritte e arriva a noi tramite la forza delle sue azioni.

“Le persone sono come le vetrate colorate, brillano e scintillano quando fuori c'è il sole, ma al calar delle tenebre viene rivelata la loro vera bellezza solo se è accesa una luce dall'interno”

L'anima di Elisabeth splende più luminosa che mai e vola insieme alle farfalle che lei amava così tanto.

 

Pubblicato da Direttrice Responsabile

 

 

 

 

 

 

 

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