Venerdì, 29 Ottobre 2021 10:38

Felicia Bartolotta Impastato. Una donna contro la mafia

Felicia Bartolotta nasce a Cinisi, in provincia di Palermo, il 24 maggio 1916. La sua famiglia, piccolo borghese, possedeva qualche pezzo di terra coltivato, il padre era un impiegato del municipio, mentre la madre era una casalinga.

Il padre le sceglie un uomo da sposare e la fa fidanzare, ma poco prima del matrimonio fa saltare tutto. Si sposerà per amore, nel 1947, con Luigi Impastato, appartenente a una famiglia di piccoli allevatori collusi con la mafia locale, ma lei questo non lo sapeva.

Nasce il primo figlio il 5 gennaio del 1948, Giuseppe, poi nasce Giovanni l’anno dopo, ma morirà a soli tre anni, e infine il terzo nel 1953, chiamato anche lui Giovanni.

Il marito della sorella di Luigi era Cesare Manzella, capomafia del paese, il quale rimane ucciso nel 1963 nell’esplosione di un’auto imbottita di tritolo durante la guerra tra le cosche Greco e La Barbera. Il figlio Peppino, di soli 15 anni, ne rimane profondamente colpito oltre al fatto che già da tempo aveva capito il tipo di affari che riguardavano il padre e lo zio.

L’amore tra Felicia e Luigi dura poco, molte erano le liti, a causa dei misteri e delle amicizie di lui, soprattutto quella con Gaetano Badalamenti, detto Tano, nuovo capomafia di Cinisi. I loro contrasti si acuiranno quando il primogenito, Peppino, inizia la sua attività politica e civile contro la mafia attraverso le sue trasmissioni alla radio e il giornale “L’Idea Socialista”. Da allora Felicia non ha più pace. Oltre al problema delle amicizie del marito deve pure proteggere il figlio che denuncia i mafiosi locali e viene cacciato di casa dal padre, con cui rompe ogni relazione. Fa di tutto per dissuadere Peppino dalle sue intenzioni di lotta, chiede anche ai suoi compagni di convincerlo a smettere di parlare di mafia, lo implora di lasciare perdere quei disgraziati.

Nel 1977 Luigi muore in un incidente, o almeno incidente viene fatto apparire, e Felicia intuisce che suo figlio è in pieno pericolo, in qualche modo la presenza del padre era una protezione per lui. Infatti, la mattina del 9 maggio 1978, Peppino viene trovato morto.

Dopo Felicia si costituisce parte civile, anche per proteggere l’altro suo figlio, Giovanni, che negli anni non ha mai smesso di chiedere giustizia per la morte del fratello, e rompe con i familiari del marito che cercavano di dissuaderla. Ma lei vuole difendere la memoria e la lotta di questo suo figlio che si è fatto ammazzare pur di non tacere.

Dopo ventidue anni, al processo contro Badalamenti (dopo che l’inchiesta era stata chiusa e riaperta più volte grazie ai compagni di Peppino e del Centro a lui intitolato), ha il coraggio di guardare l’uomo in faccia e accusarlo di essere il mandante dell’assassinio del figlio. Badalamenti e il suo vice, oggi morti, vengono condannati.

La Commissione parlamentare antimafia prepara la relazione sul depistaggio delle indagini sull’assassinio mafioso di Peppino e quando lei la riceve dichiara: “Avete risuscitato mio figlio”.

 

Articolo a cura di Lucia Ottavi

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