Maria Occhipinti. Storia di una donna libera

Maria Occhipinti nasce a Ragusa il 29 luglio 1921 da Giorgio e Concetta Sgarioto e trascorre un’infanzia e un’adolescenza senza amore.

Nonostante la sua curiosità e la passione per la lettura abbandona la scuola dopo la terza classe e fa un apprendistato come sarta, si sposa a 17 anni e poco dopo il marito è chiamato alle armi.

Nel 1944, finita la guerra, vive con il marito, i genitori e le sorelle nel quartiere dei “mastricarretti”, la zona più popolare di Ragusa. con grande scandalo del padre, del suo sposo e di tutti gli uomini del vicinato si iscrive alla Camera del Lavoro e comincia a fare proseliti tra le donne del quartiere, organizzandole per partecipare alle prime manifestazioni contro il carovita e la mancata erogazione del sussidio per le famiglie di chi era stato in guerra. Nel dicembre dello stesso anno il governo Bonomi vuole arruolamenti forzati per la ricostituzione dell’esercito italiano e lei è protagonista delle sommosse del gennaio del 1945 avvenute in tutta la Sicilia, ma particolarmente nella provincia iblea, contro questa decisione. Fa parte del movimento anarco-antimilitarista “Non si parte” e, incinta di cinque mesi, partecipa attivamente alla rivolta, repressa nel sangue dopo quattro giorni. Maria si stende sulla strada per bloccare un mezzo su cui erano caricate le reclute e viene arrestata e processata come istigatrice della sommossa. Unica donna a essere condannata, viene inviata al confino di Ustica, dove nascerà la figlia Maria Lenina, e poi trasferita al carcere palermitano delle “Benedettine”.

Sconterà quasi due anni di pena e, ottenuta la libertà per l’amnistia di Togliatti, si ritroverà in un mondo ostile, il marito si era rifatto una nuova vita con un’altra donna e il Pci aveva bollato i moti del “Non si parte” come azioni dettate da gruppi fascisti e separatisti. Solo gli anarchici, invece, la considerano un’eroina.

Sentendosi una straniera in patria se ne andrà da Ragusa con la sua bambina prima a Napoli, poi Ravenna, Sanremo, Roma, Milano. Poi la Svizzera e, durante questo periodo, esce la sua autobiografia, Una donna di Ragusa, pubblicata nel 1957, un documento umano e politico fondamentale per la comprensione, tra l’altro, delle sommosse del “Non si parte”.

Per oltre 25 anni vivrà in giro per il mondo, Francia, Marocco, Canada e Stati Uniti, facendo i più diversi lavori.

Torna in Italia nel 1973 e si stabilisce definitivamente a Roma. Mantiene stretti legami con gli ambienti anarchici romani e si integra nel movimento femminista dell’area pacifista e antimilitarista, aderendo anche alla lega per il disarmo unilaterale. Collaborerà a diversi quotidiani e riviste e proseguirà il suo impegno politico libertario tanto da essere protagonista, nel 1979, di una battaglia contro l’esproprio di terreni agricoli a uso industriale a Ragusa.

Muore a Roma il 20 agosto 1996 a causa delle conseguenze del morbo di Parkinson.

“Ora capivo, che sensibile e inquieta com’ero non dovevo nascere in tale ambiente, in un tale paese. Nata altrove, avrei avuto tutt’altro destino… ma sentii sempre, confusamente, che sarei sopravvissuta e che un giorno “avrei parlato”. Mai mi abbandonò la fede che un giorno la mia esperienza, la mia testimonianza avrebbero forse giovato, sarebbero servite a salvare altre vittime”.

 

Articolo a cura di Lucia Ottavi

 

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