Giovanna Bertola: "La Voce delle Donne"

Succede che un giorno incontri uno sguardo e questo riflette come uno specchio i tuoi sogni, gli ideali, l'amore e la passione che ti porti dentro. Questo è successo quel maggio a Mondovì quando ho incontrato Antonio. Occhi scuri i suoi, così come i suoi capelli, mantello bianco sulla divisa del nuovo esercito italiano dopo l'Unità. Non so, ma in quel momento la mia timidezza di fanciulla si è come dissolta, travolta da un desiderio forte di avvicinarlo, come se la mia anima pretendesse di riunirsi alla sua parte mancante tramite lui, e ritrovare così un'antica unità perduta nonostante la differenza di età tra noi. Antonio era un patriota Calabrese ed ha vissuto le rivoluzioni che hanno accompagnato la mia infanzia e giovinezza. Antonio Garcea, che in pochissimo tempo dal nostro incontro è diventato mio marito, quelle rivoluzioni le ha vissute sulla sua pelle, gli hanno lasciato cicatrici nel corpo, ma ha aperto la sua anima al senso di giustizia e di libertà per tutti coloro che sono oppressi. Un compagno con il quale ho condiviso tutto, passioni, amore, ideali ed anche la ribellione contro un mondo che divide, che non dà ascolto ai più umili, a chi non ha voce e, soprattutto, che discrimina una metà della popolazione che sono le donne.

Che le donne fossero discriminate l'ho imparato presto. Escluse dall' istruzione, relegate nell'ambiente domestico, prigioniere di matrimoni di convenienza. Senza diritti e lavoro. “Eh Giovannina , Giovanninaaa!!” gridava Maria, la domestica, quando mi veniva a cercare dentro la biblioteca di casa mia. Lì mi isolavo a leggere libri proibiti per una ragazzina: Rousseau, Fourier, Saint Simon. Libri che per me erano come delle voci che mi parlavano di un mondo diverso che si poteva costruire, di nuovi orizzonti, che le donne avevano gli stessi diritti degli uomini e che l'inferiorità non era altro che un'invenzione. Dentro di me nacque allora una speranza, una ribellione profonda e la convinzione che se l'Italia aveva combattuto per la sua libertà, per la realizzazione di uno Stato più giusto, anche le donne avrebbero potuto, come tutti gli oppressi, rivendicare i propri sacrosanti diritti, lottare per questi.

Io, ormai diventata maestra, capivo quanto l'istruzione, l'educazione e il lavoro avrebbero potuto cambiare le condizioni delle donne, specie di quelle ragazze più sfortunate condannate all'ignoranza, ai lavori più umili e molte volte alla strada. Si fece sempre più forte il sogno di fondare un giornale, che parlasse delle donne come una voce che si alza per loro dal silenzio a cui erano state relegate, che informasse di politica e che stimolasse la politica a farsi carico dei diritti femminili. L'idea nacque a Firenze, ma solo due anni dopo, a Parma, dove ci trasferimmo con Antonio che era stato destinato lì come ufficiale di piazza, diventò una realtà. Con la concretezza che lo contraddistingueva mi aiutò a trovare una sede. Io e mia sorella Barberina, che si era trasferita da noi, lavorammo molto e nella tipografia assumemmo tutte donne, a dispetto di chi pensava che non fossero adatte per certi lavori.

 Ricordo con emozione il primo numero della Voce delle donne, con la prima pagina in cui era scritto "Diritti, doveri, istruzione, lavoro e voto alle donne". Nessun giornale si era spinto sino a quel punto, e per questo molte poetesse e scrittrici chiesero di collaborare, ma avemmo anche ironie, critiche sarcastiche, boicottaggi. Il clero si scagliò contro definendo il giornale irreligioso e spudorato. Perché certo è spudorato per una Donna pretendere i propri diritti, è spudorato chiedere educazione e dignità. Noi, da spudorate abbiamo continuato, non ci siamo arrese , anche se molte volte sono tornata a casa con la tristezza nel cuore, e con la consapevolezza che in questa nuova società non c'era posto per le donne. Abbiamo resistito, per due anni, poi la "Voce delle Donne" nel 1867 ha chiuso i battenti. Era una voce troppo scomoda, anche nella nuova società italiana nata dalla Rivoluzione Risorgimentale, rimasta arretrata nei confronti delle donne.

Nonostante tutto, però, non si è spenta la nostra voce e la nostra speranza. Io, Giovanna Bertola, piemontese, Italiana, ho ripreso a fare la maestra, ad occuparmi dell'educazione delle donne, specie di quelle più povere, perché è l'istruzione che ti dà dignità, ti riscatta dalla schiavitù, sempre. Basta che gettiamo uno sguardo nelle pagine della Storia, per convincerci profondamente che la civiltà di un popolo cammina in ragione diretta dell'influenza morale, del valore giuridico e della dignità che la Donna ha presso un Popolo. Non so cosa succederà in tempi diversi, nel futuro chissà quando succederà per il nostro Popolo.

Lei è Giovanna Bertola (1843-1920).

 

Articolo a cura di Emerita Cretella

 

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