Tina Lagostena Bassi: ”Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa Giustizia”

Augusta Bassi, detta Tina, nasce a Milano il 2 marzo 1926.

Si laurea in giurisprudenza all'Università di Genova e inizia la sua carriera come prima assistente alla cattedra di diritto penale alla stessa università. Successivamente si specializza e nel 1971, per un anno, prende la cattedra di Diritto della Navigazione presso l’Università di Parma.

Nel 1950, già sposata con Vitaliano Lagostena, apre con lui uno studio legale a Genova, che poi trasferiranno a Roma nel 1973, quando comincia a lavorare all’ufficio riforme del Ministero di Grazia e Giustizia, dove rimarrà fino al 1975.

Tina era nota nei tribunali italiani per essere una delle principali e più agguerrite avvocate della difesa dei diritti delle donne. Le sue arringhe, con termini asciutti, descrivevano le violenze subite dalle sue assistite e ciò andava a rompere un tabù sulla questione delle violenze sessuali che esisteva sia nella società che e nei tribunali dell’epoca.

Nel 1978, dopo un convegno internazionale sulla violenza contro le donne organizzato dal movimento femminista nella Casa delle donne a Roma, emerse la constatazione che nei processi per stupro, in ogni parte del mondo, la vittima veniva trasformata in imputata: l’idea di fondo era che se c’era stata una violenza era perché in qualche modo la vittima l’aveva provocata con qualche atteggiamento sconveniente. Da qui nasce l’idea di filmare il primo processo per stupro, in cui Tina era difensora di parte civile.

Il documentario, Processo per stupro, del 1979, realizzato da un collettivo femminista composto da sei donne, giovani programmiste, ebbe un’altissima risonanza rispetto al dibattitto sulla legge contro la violenza sessuale. Fu mandato in onda dalla Rai e seguito da circa tre milioni di spettatori, nove milioni in una successiva messa in onda. Vinse il premio Prix Italia a presentato a vari festival del cinema.

Nel 1983 Tina rappresenta l’Italia al Convegno Mondiale per la Pace svoltosi a Praga e nel 1988 sarà socia fondatrice del Telefono Rosa.

Nel 1994 viene eletta nella circoscrizione XII-Toscana e poi membro della Commissione Giustizia della Camera dei deputati nella XII legislatura nonché coautrice, nel 1996, della legge contro la violenza sessuale n. 66/96. È Presidente della Commissione nazionale parità e pari opportunità uomo-donna presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e componente del gruppo sulle pari opportunità della Comunità europea dal 1994 al 1995.

Nel 1995 dirige la delegazione italiana nei lavori preparatori della IV Conferenza Mondiale Onu sui diritti della donna svoltasi a Pechino.

In ambito televisivo, dopo Processo per stupro, è stata sceneggiatrice di una miniserie per la Rai, L'avvocato delle donne, tratta da un suo omonimo libro, poi giudice d’arbitrato nel programma Forum dal 1998 al 2008 e conduttrice di due trasmissioni su Odeon tv tra il 2002 e il 2006.

Muore in una casa di cura privata a Roma il 4 marzo del 2008, malata da tempo di un tumore al seno, a causa di un’emorragia celebrale.

“Presidente, Giudici, credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. ... Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c'interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia, come donne? Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali, ed attraverso ciò che avviene nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto. Noi donne abbiamo deciso, e Fiorella in questo caso a nome di tutte noi - noi le siamo solamente a lato, perché la sua è una decisione autonoma - di chiedere giustizia. Ecco, questa è la nostra richiesta. E certo, io non sarò molto lunga, ma devo purtroppo ancora prendere atto, e mi scusino i colleghi, che se da parte di questo collegio si è trattato in questo caso Fiorella, ma si sono trattate le donne, come donne e non come oggetti, ancora la difesa dei violentatori considera le donne come solo oggetti, con il massimo disprezzo, e vi assicuro, questo è l'ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento. Io mi auguro di riuscire ad avere la forza di sentirli - non sempre ce l'ho, lo confesso - di avere la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati - e qui parlo come avvocato - si sognerebbe d'impostare una difesa per rapina così come s'imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali sicuri da difendere, ebbene, nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori "Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere un po' è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!" Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. ...

Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d'oro, l'oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un'imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare una donna venire qui a dire "non è una puttana". Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, e senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l'accusatore di un certo modo di fare processi per violenza, ed è una cosa diversa. ... Pensate, una violenza carnale ad opera di quattro, durata un pomeriggio, con un sequestro di persona in una villa, viene valutata 2.000.000. Il silenzio della Fiorella valeva 1.000.000, invece. Questo, vi prego di tenerne conto, ai fini dell'esame di quella tal congruità dell'offerta di risarcimento. ... A nome di Fiorella e a nome di tutte le donne, molte sono, ma l'ora è tarda e noi vogliamo giustizia. E difatti questo io vi chiedo: giustizia. Noi non chiediamo le condanne, non c'interessano. Ma rendete giustizia a Fiorella, e attraverso la vostra sentenza voi renderete giustizia alle donne, a tutte le donne, anche e prima di tutto a quelle che vi sono più vicine, anche a quelle povere donne che per disgrazia loro sono vicine agli imputati. Questa è la giustizia che noi vi chiediamo. ... perché queste violenze siano sempre meno, perché le donne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia siano sempre di più.” (Tina Lagostena Bassi, PROCESSO PER STUPRO del 1979).

 

Articolo a cura di Lucia Ottavi

Condividi