Giovedì, 20 Maggio 2021 09:55

''Mi chiamo Nojoud, ho 10 anni e voglio il divorzio''

Nojoud Ali nasce nel 1988 nello Yemen. La sua famiglia lotta per la sopravvivenza e un evento drammatico sconvolge la loro esistenza: Mona, la sorella più grande, viene rapita, stuprata e rimane incinta. È costretta a sposare il suo stupratore, ma per la famiglia è una vergogna. Per mettere a tacere le voci si trasferiscono nella città di San’a, sono tanti, tre mogli e 16 figli, e ciascuno contribuisce come può all’economia familiare.

Nojoud aveva soltanto 9 anni nel 1997, quando il padre decide di farla sposare a Faez, un uomo di 21 anni più grande di lei. La sua vita di bambina si trasforma presto in una vita di abusi. Il marito la picchia, la costringe ad avere rapporti sessuali, la tratta come una schiava, tutto con la complicità della madre di lui, che assiste senza fare niente. Passano i mesi, Nojoud piange, vuole vedere la sua famiglia, ma non può. Finché arriva il giorno in cui lo sposo-padrone le dà il permesso e ritorna a casa. Chiede alla sua famiglia di rimanere, ma si rifiutano. La piccola è disperata, chiede aiuto anche alla seconda moglie di suo padre, Dowla, che le suggerisce di fuggire e cercare un tribunale dove appellarsi. Nojoud segue il consiglio e si avvia, tutta sola, avvolta in un’abaya nera, verso il tribunale di San’a. Lì trova chi ascolta la sua storia e decide di aiutarla. Shatha Muhammed Nasser è il suo avvocato, che la assiste gratuitamente.

È la prima volta che una minore chiede il divorzio in Yemen. La legge non le protegge. Vieta i matrimoni delle spose al di sotto dei 15 anni, ma nel 1999 viene introdotto un emendamento che introduce la possibilità di farlo con spose di età minore, con la consegna di una dote alla famiglia della sposa e il divieto di consumare il matrimonio finché la giovane non sia entrata nella pubertà. Chiaramente non esistono controlli sui desideri del marito, alla cui mercé rimane la sposa. A questa legge si appella l’avvocato Nasser, contestando anche il fatto che sia il padre sia il marito avrebbero mentito di fronte ai giudici sulla vera età della bambina e i due vengono denunciati. Al processo è lo zio di Nojoud a presentarsi come suo guardiano. Racconta che il padre della bambina ha perso il lavoro e che soffre di problemi mentali.

Il giudice propone a Nojoud di riunirsi al marito dopo un tempo di 3-5 anni, ma lei rifiuta, vuole il divorzio. Lo ottiene il 15 aprile del 2008 con il compromesso di un risarcimento al marito per la rottura del contratto, mille Riyal, ossia circa 360 euro, raccolti grazie a un’iniziativa proposta dallo “Yemen Times”.

Finalmente libera, Nojoud comincia una nuova vita. Va a Parigi e con la giornalista franco-iraniana Delphine Minoui scrive la sua storia, “Moi – Nojoud, 10 ans, divorcée” un bestseller tradotto in 15 lingue da cui è tratto il film, “La sposa bambina”, della regista Khadija al-Salami, uscito in Italia nel 2016.

La cosa più importante, però, è che ricomincia ad andare a scuola grazie all’editore Michel Lafon il quale ha accettato di pagare al padre di Nojoud mille dollari al mese per il suo mantenimento fino ai 18 anni, con la clausola che lui le permetta di andare a scuola.

L’editore compra anche una casa, la famiglia si trasferisce, ma nel 2013 il padre la caccia di casa, si procura altre due mogli, fa sparire i soldi del suo mantenimento e cerca di vendere Haifa, la sorella minore, a un uomo adulto. Ma Nojoud si batte anche per la libertà di sua sorella, sostenuta dall’editore francese.

L’ex marito, nel frattempo, si è risposato e le passa dai venti ai trenta dollari al mese.

La sua storia ha fatto il giro del mondo ed è diventata un simbolo di coraggio e resistenza a una vita di soprusi e, soprattutto, di lotta contro i matrimoni forzati.

 

Articolo a cura di Elisa Stefania Tropea

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