Parigi 25 dicembre 1903
Quella mattina Luisa si svegliò presto prima che Amelie, la sua cameriera personale, venisse a svegliarla. Era ancora buio fuori e le luci dei lampioni di Rue de la Paix erano ancora accesi. Dalla sua finestra si vedevano i tetti di Parigi imbiancati di neve che aveva ricominciato a scendere nel silenzio di quell’alba di Natale. Infilò la vestaglia di lana e broccato e uscì piano dalla sua stanza verso il grande salotto, facendosi luce con una candela; un grande abete addobbato di preziose palle di vetro colorate in rosso e oro, posto vicino alla grande vetrata, la distolse per un attimo dal presente e la riportò indietro in un’infanzia di giochi, neve e magiche attese.
“Vostra altezza prenderete un malanno con questo freddo, il fuoco è spento, chiamo subito Jérome per accendere il camino e la stufa” disse Amelie.
Luisa sorrise e chiese che le fosse servita la colazione, aveva solo bisogno di un the caldo, di restare in silenzio ad assaporare quella tranquillità e di ritrovare i propri ricordi che tornavano a visitarla come quei fiocchi di neve, che cadevano copiosi senza fare rumore.
Anche tanti anni prima, quando da bambina si trovava in Belgio, nevicava sempre d’inverno, i giardini del palazzo reale erano candidi e gli zampilli delle fontane disegnavano magiche figure tra le statue imbiancate.
Nel salone delle feste un gigantesco albero di Natale e addobbi colorati scandivano il tempo delle feste e dei balli ai quali, da adolescente, aveva cominciato a partecipare corteggiatissima per la sua bellezza appena sbocciata. Era vivace e piena di sogni Luisa, sorridente e forse un po’ troppo ribelle per quei tempi e il suo rango. Amava leggere e cavalcare in aperta campagna tra la natura che le faceva dimenticare tutti gli obblighi e il protocollo di palazzo. Vedeva poco i suoi genitori e suo padre Leopoldo era un uomo freddo e di poche parole, con lo sguardo severo e distante. Sua madre Enrichetta era taciturna, immersa nel suo ruolo di regina aristocratica e obbediente al marito.
Aveva appena compiuto sedici anni e quella mattina di Natale sgattaiolò presto dai suoi appartamenti per godersi la nevicata nei giardini del palazzo, non immaginava che sarebbe stato l’ultimo dei suoi Natali felici e la fine dei suoi sogni romantici di adolescente.
Quel giorno, infatti, suo padre le comunicò con la stessa freddezza con cui trattava gli affari di Stato che sarebbe andata sposa pochi mesi dopo al principe Rodolfo di Coburgo, imparentato con la casa reale d’Austria e adatto quindi a lei per rango e casata.
Il matrimonio fu celebrato a Bruxelles con grande fasto, ma si rivelò da subito molto infelice per Luisa a causa del carattere dispotico del marito che pretendeva sottomissione e obbedienza e non perdeva occasione per umiliarla anche davanti ai propri amici. Nonostante la nascita di due figli le cose precipitarono e alla fine, scandalizzando la rigida corte viennese, la principessa lasciò il marito portandosi dietro la figlia minore. Fu accusata di spese folli e di condurre una vita dissoluta e, alla fine, con la complicità di medici consenzienti, Rodolfo la fece dichiarare pazza e rinchiudere in una clinica per malati di mente tra i monti austriaci.
Il tempo sembrava essersi fermato in quella stanza con le grate alle finestre dalla quale Luisa vedeva le cime dei ghiacciai innevati, tanto distanti da sembrare un miraggio, come la sua libertà perduta, in quel deserto in cui era costretta a vivere. Solo il trascorrere ciclico delle stagioni teneva vivi i suoi ricordi che si affacciavano a farle compagnia e mantenevano la sua mente vigile in un luogo in cui l’identità veniva continuamente minata. Solo una ragazza che svolgeva le pulizie nella clinica le dimostrò simpatia, Luisa le raccontò la sua storia, e lei accettò di spedire una lettera alla sorella Stefania nella quale chiedeva aiuto per liberarsi da quella prigione ingiusta. Questa volta la lettera arrivò a destinazione. Seppe in seguito che non le furono mai consegnate lettere della sorella e di amici ai quali veniva risposto che non voleva avere più contatti con loro e a lei veniva detto che era stata abbandonata anche dai parenti. Dopo alcuni mesi, tramite un caro amico, Luisa riuscì a evadere dal manicomio e si rifugiò in Francia, a Parigi dove venne accolta e protetta.
Ormai si era fatto giorno e la luce filtrava attraverso la grande vetrata, Luisa sorseggiava il suo the accanto al fuoco del camino e guardava la neve cadere fitta come nei tempi felici e pensò che sarebbe stato bello poter uscire, camminare nelle strade imbiancate e lasciarsi ancora una volta accarezzare il viso da quei fiocchi magici mentre guardava il cielo.
Sorrise, mentre il suono delle campane di Parigi annunciava un giorno di rinascita. Era la mattina di Natale e presto avrebbe rivisto i suoi figli.
Racconto a cura di Emerita Cretella