Libertà. Una parola sublime. Un eccelso significato. In questa epoca di troppe parole, in cui le stesse sono manovrate da burattinai (preferibile definirli parolai), che altro sanno fare eccetto che attribuire ad esse il vero significato, affermo che questo nobile termine, “Libertà”, risulta tra quelli più maltrattati, addirittura più abusati; riferito a questioni che poco o nulla hanno a che fare con essa.
Alcuni decenni orsono l'intera Europa, e non solo, era immersa in una feroce guerra (come sono peraltro spietati e feroci tutti i conflitti armati): la seconda guerra mondiale (1939-1945). Poco si è parlato, poco si conosce delle migliaia di donne, in Italia, cooprotagoniste del tortuoso e tormentato cammino verso la liberazione, del territorio, dagli invasori. Donne, persone, che hanno fatto tanto, alle quali dobbiamo la libertà dei decenni successivi. Sono le Partigiane. Furono concretamente ed idealmente in primo piano, in quell'insieme composito di comportamenti eroici chiamato Resistenza. Conosceremo una di queste donne: Gina Borellini.
Gina, il cui nome di battaglia fu Kira, nacque a San Possidonio (Modena), nel 1919; a 16 anni sposò Antichiano, un falegname; ebbero due figli, il primo dei quali morì a 2 anni d'età. Con l'inizio del conflitto il marito, bersagliere, fu obbligato a recarsi al confine libico; la nostra Gina, per sostenere la famiglia, andò a lavorare nelle risaie del Piemonte e qui, facendo appunto la mondina, iniziò la sua presa di coscienza delle ingiustizie e dei diritti negati. Soprattutto delle donne. Ritornata in Emilia, fu partigiana.
Le donne partigiane erano sia combattenti armate che staffette indispensabili per le comunicazioni tra i partigiani e le famiglie oppure da un gruppo all'altro di partigiani in merito alle mosse, agli spostamenti dei nazifascisti; adibite al trasporto di cibo e di medicinali). Una realtà sottaciuta. Tante furono torturate ed uccise, altre deportate nei campi di concentramento del resto d'Europa. Mi preme rammentare un episodio saliente di Gina Borellini. Si era ai primi d'aprile del 1945 e la partigiana Kira fu gravemente ferita, nelle campagne modenesi; fu portata all'ospedale di Carpi dove le venne amputata una gamba. Sarebbe stata fucilata dai nazifascisti se, a distanza di pochi giorni, il 25 aprile, non ci fosse stata la liberazione dell'Italia. Teniamo in considerazione che, soltanto un mese prima, il marito Antichiano subì la fucilazione, a Modena.
La nostra Gina trascorse il resto della sua vita (considerate che mancò nel 2007) occupandosi, con impegno continuo ed appassionato, dell'emancipazione della donna e di diritti umani. Fu deputata in parlamento per tre legislazioni; fu tra le fondatrici dell'UDI (Unione donne italiane); ricoprì per circa 30 anni incarichi importanti nella ANMIG (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra.) Non riporto, intenzionalmente, gli importanti riconoscimenti da lei ricevuti per ricordare, semplicemente, Gina detta Kira come forte esempio di un'intera esistenza al femminile in difesa della pace, della giustizia, dell'emancipazione delle donne. Dando a tali termini il loro autentico significato. Libertà.
Articolo a cura di Daniela Minozzi