Giuditta Levato. Terre Madri.

Ricordo sempre quel raggio di sole che all 'alba, in estate, entrava quasi timidamente dalla finestra della stanza da letto che dividevo con quattro sorelle. Più che una finestra era un'apertura rettangolare. Per aprire il vetro dovevo salire su una sedia, e ogni volta era come se fossi ad osservare lo spazio di un quadro in quel rettangolo, uno spazio che si apriva dalla collina del mio paese verso il mare di Sellia Marina che si vedeva in lontana Calabricata , trecento anime eravamo, su una collina tra mare e montagna, povere case di contadini fatte di paglia e cemento ........ umide e fredde in inverno e roventi in estate. Uscivamo all'alba per raggiungere i campi del feudo, io, mia madre, mio ​​padre ei fratelli più grandi. Già da piccola avevo imparato la fatica, a capo chino a piantare a raccogliere, su quelle zolle di terra non nostra che ci dava a malapena da mangiare. Lavoravamo in silenzio, rotto soltanto dal suono della vanga e dal vento di mare che faceva ondeggiare come acqua le spighe di grano d'estate prima della mietitura. Mio padre portava un vecchio cappello che si toglieva ogni tanto per asciugarsi il sudore, ea volte imprecava "mannajaaa!" alzando i pugni verso la bella casa padronale, di lato alla collina. "U patruni mangia pani jancu e nu atri cipuja amara!", Diceva. Mia madre sospirava, si asciugava la fronte, scuoteva la testa e riprendeva il lavoro. Erano ancora giovani i miei genitori ma come tutti i contadini invecchiati precocemente. I volti bruciati dal sole scavati da rughe profonde, simili a solchi di terra. rotto soltanto dal suono della vanga e dal vento di mare che faceva ondeggiare come acqua le spighe di grano d'estate prima della mietitura. Mio padre portava un vecchio cappello che si toglieva ogni tanto per asciugarsi il sudore, ea volte imprecava "mannajaaa!" alzando i pugni verso la bella casa padronale, di lato alla collina. "U patruni mangia pani jancu e nu atri cipuja amara!", Diceva. Mia madre sospirava, si asciugava la fronte, scuoteva la testa e riprendeva il lavoro. Erano ancora giovani i miei genitori ma come tutti i contadini invecchiati precocemente. I volti bruciati dal sole scavati da rughe profonde, simili a solchi di terra. rotto soltanto dal suono della vanga e dal vento di mare che faceva ondeggiare come acqua le spighe di grano d'estate prima della mietitura. Mio padre portava un vecchio cappello che si toglieva ogni tanto per asciugarsi il sudore, ea volte imprecava "mannajaaa!" alzando i pugni verso la bella casa padronale, di lato alla collina. "U patruni mangia pani jancu e nu atri cipuja amara!", Diceva. Mia madre sospirava, si asciugava la fronte, scuoteva la testa e riprendeva il lavoro. Erano ancora giovani i miei genitori ma come tutti i contadini invecchiati precocemente. I volti bruciati dal sole scavati da rughe profonde, simili a solchi di terra. Mio padre portava un vecchio cappello che si toglieva ogni tanto per asciugarsi il sudore, ea volte imprecava "mannajaaa!" alzando i pugni verso la bella casa padronale, di lato alla collina. "U patruni mangia pani jancu e nu atri cipuja amara!", Diceva. Mia madre sospirava, si asciugava la fronte, scuoteva la testa e riprendeva il lavoro. Erano ancora giovani i miei genitori ma come tutti i contadini invecchiati precocemente. I volti bruciati dal sole scavati da rughe profonde, simili a solchi di terra. Mio padre portava un vecchio cappello che si toglieva ogni tanto per asciugarsi il sudore, ea volte imprecava "mannajaaa!" alzando i pugni verso la bella casa padronale, di lato alla collina. "U patruni mangia pani jancu e nu atri cipuja amara!", Diceva. Mia madre sospirava, si asciugava la fronte, scuoteva la testa e riprendeva il lavoro. Erano ancora giovani i miei genitori ma come tutti i contadini invecchiati precocemente. I volti bruciati dal sole scavati da rughe profonde, simili a solchi di terra. Erano ancora giovani i miei genitori ma come tutti i contadini invecchiati precocemente. I volti bruciati dal sole scavati da rughe profonde, simili a solchi di terra. Erano ancora giovani i miei genitori ma come tutti i contadini invecchiati precocemente. I volti bruciati dal sole scavati da rughe profonde, simili a solchi di terra.

Era il 1930 e avevo quindici anni, sapevo a malapena leggere, e se non ero nei campi mi occupavo della casa e dei miei fratellini. Desideravo tanto un paio di scarpe che non avevo. Quando andavo in chiesa, ricordo, nascondevo i piedi callosi tirandoli indietro sotto la panca e coprendoli con la gonna. Gli anni passarono, mi feci grande e sposai Pietro, un mio coetaneo. Insieme lavoravamo la terra e divenni madre di due bambini. Scoppiò la guerra, e pochi giorni dopo la nascita del secondo figlio mio marito fu richiamato. Presi io le redini della famiglia, lavorai duramente per dare il pane ai miei figli, dormivo poco. Il pensiero di Pietro, la guerra, la miseria .... e poi altro lavoro che sbrigavo di notte. Cuocevo verdure, lavavo, stiravo i pochi vestiti dei bambini .... Finalmente con lo sbarco degli alleati la guerra finì, ma la nostra miseria aumentò, moneta che non valeva più niente, magazzini del padrone sempre pieni e noi alla fame. Pietro per fortuna tornato dal fronte si adattava a fare mille lavori, ma la situazione era durissima, a stento riuscivamo a sfamare i figli.

In me cresceva una ribellione profonda un bisogno di giustizia e riscatto che ritrovai nelle parole di un giovane che un giorno venne da Sellia a parlare a noi contadini. Mi ritrovai in ciò che diceva: "tutti sono uguali, la guerra è sbagliata, ed anche i più poveri devono vivere dignitosamente ed il padrone non deve arricchirsi alle loro spalle, le terre sono di chi le lavora!" Ci chiamava compagni e ci spinse a ribellarci a fondare delle cooperative agricole per difendere il nostro lavoro. Io fui una delle prime ad aderire e cominciai la mia battaglia parlando con i contadini e specie con le donne. Noi donne che durante la guerra avevamo cresciuto figli da sole, faticato come bestie nei campi noi, che nella nuova Repubblica Italiana aveva finalmente il diritto di votare! Di strada in strada, di paese in paese cominciò un circolare la notizia che il catanzarese compagno Fausto Gullo, era diventato ministro dell'agricoltura e che ai contadini costituiti in cooperativa sarebbe stato assegnate le terre! Noi ne creammo una a Calabricata, Unione e Libertà ed in quel primo giovedì di novembre, lo stesso giorno del decreto Gullo, con vanghe, zappe, donne e bambini in testa ci dirigemmo verso il feudo di Calabricata prendendo possesso di alcuni appezzamenti di terre incolte . Ci ritrovammo a ridere, a piangere di gioia, a guardare i nostri figli con una speranza nuova, il loro futuro sarebbe stato certamente migliore. Ma questo non piacque ai padroni dei feudi, abituati da secoli ai privilegi ea considerare noi contadini come dei servi alla stessa stregua di animali da cortile! era diventato ministro dell'agricoltura e che ai contadini costituiti in cooperativa sarebbero stati assegnate le terre! Noi ne creammo una a Calabricata, Unione e Libertà ed in quel primo giovedì di novembre, lo stesso giorno del decreto Gullo, con vanghe, zappe, donne e bambini in testa ci dirigemmo verso il feudo di Calabricata prendendo possesso di alcuni appezzamenti di terre incolte . Ci ritrovammo a ridere, a piangere di gioia, a guardare i nostri figli con una speranza nuova, il loro futuro sarebbe stato certamente migliore. Ma questo non piacque ai padroni dei feudi, abituati da secoli ai privilegi ea considerare noi contadini come dei servi alla stessa stregua of animali da cortile! era diventato ministro dell'agricoltura e che ai contadini costituiti in cooperativa sarebbero stati assegnate le terre! Noi ne creammo una a Calabricata, Unione e Libertà ed in quel primo giovedì di novembre, lo stesso giorno del decreto Gullo, con vanghe, zappe, donne e bambini in testa ci dirigemmo verso il feudo di Calabricata prendendo possesso di alcuni appezzamenti di terre incolte . Ci ritrovammo a ridere, a piangere di gioia, a guardare i nostri figli con una speranza nuova, il loro futuro sarebbe stato certamente migliore. Ma questo non piacque ai padroni dei feudi, abituati da secoli ai privilegi ea considerare noi contadini come dei servi alla stessa stregua di animali da cortile! Unione e Libertà ed in quel primo giovedì di novembre, lo stesso giorno del decreto Gullo, con vanghe, zappe, donne e bambini in testa ci dirigemmo verso il feudo di Calabricata prendendo possesso di alcuni appezzamenti di terre incolte. Ci ritrovammo a ridere, a piangere di gioia, a guardare i nostri figli con una speranza nuova, il loro futuro sarebbe stato certamente migliore. Ma questo non piacque ai padroni dei feudi, abituati da secoli ai privilegi ea considerare noi contadini come dei servi alla stessa stregua of animali da cortile! Unione e Libertà ed in quel primo giovedì di novembre, lo stesso giorno del decreto Gullo, con vanghe, zappe, donne e bambini in testa ci dirigemmo verso il feudo di Calabricata prendendo possesso di alcuni appezzamenti di terre incolte. Ci ritrovammo a ridere, a piangere di gioia, a guardare i nostri figli con una speranza nuova, il loro futuro sarebbe stato certamente migliore. Ma questo non piacque ai padroni dei feudi, abituati da secoli ai privilegi ea considerare noi contadini come dei servi alla stessa stregua di animali da cortile! a guardare i nostri figli con una speranza nuova, il loro futuro sarebbe stato certamente migliore. Ma questo non piacque ai padroni dei feudi, abituati da secoli ai privilegi ea considerare noi contadini come dei servi alla stessa stregua di animali da cortile! a guardare i nostri figli con una speranza nuova, il loro futuro sarebbe stato certamente migliore. Ma questo non piacque ai padroni dei feudi, abituati da secoli ai privilegi ea considerare noi contadini come dei servi alla stessa stregua di animali da cortile!

Quel 28 di novembre 1946 ero a casa. Presto sarebbe nato il mio terzo figlio ormai ero quasi alla fine della gravidanza e quel giorno non ero andato nei campi per accudire mio marito che non poteva alzarsi da letto. "Veniti veniti ù Massaru sta purtando i vacchi ò Biviere!" Urlava la moglie di un bracciante di casa in casa. Il Biviere era uno degli appezzamenti che erano stati assegnati alla nostra cooperativa ed il Massaro Pietro Mazza ed i suoi uomini stavano portando lì le vacche del padrone per cacciarci. Non potevo restare a casa, presi con me il figlio più piccolo e chiamai a raccolta le donne, e gli uomini. Non potevamo permettere che la nostra terra che avevamo seminato venisse calpestata e con lei i nostri diritti. Arrivammo in tanti, noi donne avanti insieme ai bambini. Pietro mazza era li è i suoi uomini erano armati di fucili. "Tornatevene a casa gridava", ma noi avanzavamo ....... "Fuori dalla terra che non vi appartiene." .. "Questa e terra franca c'è l'ha data il governo e nui la fatigamu Ne abbiamo il diritto andatevene voi! " Continuammo ad avanzare pensavamo che non sparato su donne e bambini .... Ma ad un tratto ......... un colpo! ..... e poi sentii come una lama rovente sul fianco .... Caddi ........... E mi accolse come figlia la mia terra ..... Terra mia anche tu ferita a morte dall'arroganza, dalla violenza di pochi prevaricatori! Ma le idee, le lotte sono come il polline primaverile, volano libere e portano con sè, nel vento, l'eco di voci che sembravano spente e fecondano nuovi semi di rinascita. Io, Giuditta Levato sono sempre qui in quell'eco di voci che grida giustizia.

 

 

Articolo a cura di Emerita Cretella

 

 

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