La Commissione ONU sullo Status delle Donne unita contro l’alienazione parentale

La Commissione delle Nazione Unite sullo Status delle Donne (CSW) ha tenuto nella mattinata di giovedì una conferenza volta a denunciare apertamente l’utilizzo della pseudo e regressiva teoria della “alienazione parentale” (PA) nei procedimenti giudiziari. Diverse esperte legali e accademiche hanno esposto davanti ad un pubblico internazionale quello che è a tutti gli effetti un problema sistemico che affligge i tribunali di tutto il mondo e che danneggia gravemente la salvaguardia dei bambini e dei loro diritti nei casi di custodia.

L’alienazione parentale, conosciuta anche con il nome di PAS (Parental Alienation Syndrome), venne introdotta per la prima volta nel 1985 dallo psichiatra statunitense Richard Gardner. Con questa espressione si farebbe riferimento ad una situazione in cui un genitore (genitore alienante) manipolerebbe in maniera negativa il comportamento del figlio fino a spingerlo verso il rifiuto dell’altro genitore (genitore alienato). Il problema denunciato dall’ONU è che nel corso degli anni questa teoria è stata principalmente usata come giustificazione nel caso in cui i bambini esprimessero sentimenti di paura verso uno dei genitori nei processi per stabilire la custodia parentale. Il risultato è che il bambino viene di conseguenza prima tolto dalle mani del genitore che avrebbe ipoteticamente attuato il condizionamento, e poi dato a quello che invece era stato indicato dal figlio come pericoloso.

L’Italia è uno dei tanti paesi in cui la teoria dell’alienazione parentale si è diffusa, viziando il sistema dei tribunali familiari e delle case-famiglia. Nell’ultimo periodo il tema è diventato centrale a causa della battaglia legale di Laura Massaro per mantenere la custodia su suo figlio. Accanto a lei si sono schierate associazioni come Maison Antigone, un’organizzazione contro la violenza sulle donne, e l’onorevole Veronica Giannone, la quale dal 2019 ha presentato oltre trenta interrogazioni parlamentari su questo argomento.

L’alienazione parentale non è mai stata verificata come scientificamente provata e ciò ne dimostra la pericolosità e l’insensatezza del suo utilizzo nei tribunali, che prosegue nonostante le innumerevoli condanne della Comunità Scientifica Internazionale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha chiaramente rifiutato il riconoscimento di questa teoria; negli anni 2011 e 2017 la Commissione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) ha condannato l’Italia per aver utilizzato la PA nei tribunali, denunciandone gli effetti gravemente distorsivi e dannosi sul benessere e la tutela dei bambini e delle donne.

Analoghe accuse sono arrivate al Bel Paese dal GREVIO (Group of Experts on Action Against Violence Against Women and Domestic Violence), un organismo indipendente del Consiglio d’Europa che si occupa di monitorare l’applicazione della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. La teoria dell’alienazione parentale infatti si è rivelata negli anni anche un’arma processuale misogina: “teoricamente neutrale rispetto al genere, ci è chiaro che è usata molto frequentemente contro le donne” ha detto Reem Alsalem, Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne.

A seguito di queste gravi accuse da parte degli organi internazionali, la Commissione Parlamentare sul Femminicidio sotto la guida dell’Onorevole Valeria Valente ha quindi iniziato a raccogliere le segnalazioni giunte da madri, associazioni e legali su casi processuali distorti dall’uso dell’alienazione parentale o da teorie analoghe della psicologia giuridica. I casi raccolti ammontavano a 1500 nell’aprile 2021, dopo appena un anno dall’inizio della raccolta dati.

Le denunce contro l’uso illecito dell’alienazione parentale e le conseguenti violazioni dei diritti umani che colpiscono donne e bambini nei casi di custodia non sono rivolte solo all’Italia, ma anche ad altri paesi in cui il problema è presente in forma avanzata come la Spagna, la Polonia, l’Andorra e la Francia, come riportato da Iris Luarasi, Presidente di GREVIO. Inoltre, l’aggravante è che i paesi appena nominati, Italia compresa, fanno parte dei membri che hanno ratificato la già citata Convenzione di Istanbul, la quale all’articolo 31 impone i tribunali di prendere in dovuta considerazione gli episodi di violenza vissuti dai figli minori “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli.” Un principio che sta venendo evidentemente meno con il ricorso alla teoria dell’alienazione parentale. “Tuttavia, vorrei sottolineare che questo problema,” ha detto Luarasi, “non è ristretto all’Europa.”

L’internazionalità dell’utilizzo dannoso di questa teoria ascientifica nei tribunali e la distorsione a livello giudiziario da essa provocata è stato l’elemento che giovedì ha riunito l’ONU, organizzazioni non-profit, e vari professionisti nella lotta contro l’alienazione parentale e le sue gravi conseguenze. L’obiettivo è quello di evitare che si possano verificare situazioni come quella in Brasile, in cui l’alienazione parentale è stata legalizzata dalla Legge 12.318 del 2010, creando un pericoloso modello negativo per i tribunali familiari mondiali.

La pericolosità dell’applicazione della alienazione parentale ai casi di custodia parentale

Joan Meier, Professoressa di diritto clinico e Direttore del Centro Nazionale di Diritto della Violenza Familiare alla George Washington University, ha illustrato durante la conferenza i risultati dei suoi studi sull’alienazione parentale e di come essa viene affrontata nei trubunali. La Meier ha riscontrato che i giudici sono molto scettici riguardo le accuse di abuso da parte delle madri, soprattutto quando si parla di abusi sessuali verso il bambino.

“Quando si tratta di abusi sessuali su minori, più del 90% di tutte le denunce e dei casi che vengono aperti vengono chiusi senza incriminazioni per la cosiddetta mancanza di prove sufficienti,” ha detto Ruth Halperin-Kaddari, ex vicepresidente del Comitato CEDAW e professoressa di diritto all’Università Bar-Ilan, in Israele. Per questo motivo, spesso la madre non è creduta ed il padre utilizza l’alienazione parentale come strategia di difesa per prendere la custodia dei figli. “È un sistema che non vuole credere che gli uomini siano abusivi in famiglia,” ha detto Meier.

A questo punto, continua la Meier, i bambini vengono automaticamente silenziati e le loro testimonianze non sono credute dal giudice, poiché secondo il tribunale i figli si trovano sotto la manipolazione di uno dei genitori e dunque non dicono la verità sugli abusi. Questo crea nel bambino un “deterioramento estremo della salute mentale, tendenze suicide, tentativi di fuga, e altri problemi seri a scuola,” testimonia Meier riferendosi a casi passati.

L’altro scenario presentato sul dannoso utilizzo della PA in un ambiente di abusi è quello che ha come esito l’omicidio del bambino da parte del genitore. “Il Center for Judicial Excellence (CJE) si occupa di un database di bambini uccisi da padri che si presumeva fossero pericolosi, ma ai quali i tribunali della famiglia hanno dato l’affido rifiutandosi di proteggere i bambini,” ha detto Meier.

Una di queste tante vittime era Kayden Mancuso, una bambina americana che nel 2018 venne brutalmente uccisa dal padre alla tenera età di sette anni. Il padre aveva mostrato comportamenti violenti e segni di instabilità mentale. Ciononostante, il tribunale gli aveva concesso di avere delle visite non supervisionate con la figlia contro le proteste della madre, la quale era stata accusata da lui di alienazione parentale.

 Il 16 marzo, dopo quattro anni di lotte da parte della madre di Kayden e altre associazioni in difesa della custodia dei bambini, il Presidente Joe Biden ha firmato la Legge Kayden. Questa normativa è volta a stanziare un fondo federale per l’implementazione di programmi sulla consapevolezza della violenza domestica e degli abusi familiari e per educare i giudici sulla custodia in modo che siano più protettivi nei confronti dei bambini. Inoltre, la legge Kayden chiede agli stati americani di migliorare i loro standard sulla ammissione delle testimonianze deposte nei tribunali da parte degli esperti.

Infatti, uno dei problemi riscontrati è che la teoria dell’alienazione parentale venga introdotta nei tribunali da avvocati, psicologi o consulenti tecnici che utilizzano questa teoria come se fosse scientifica. “Non esiste dal punto di vista medico qualcuno che sia esperto di alienazione parentale,” ha detto Danielle Pollack, policy manager presso il National Family Violence Law Center di Washington, “perché ovviamente l’alienazione non ha un vero supporto scientifico.”

Molti si sono chiesti come è possibile che i tribunali siano talmente ciechi da cedere un bambino al genitore abusante. Secondo Pollack il problema è culturale: “C’è una vera e propria resistenza nella cultura a riconoscere l’abuso familiare e quanto sia pervasivo. In secondo luogo, penso che questa teoria giochi su quegli stereotipi misogini che sono presenti nella cultura in molti modi e narrazioni: quelli che vedono una donna vendicativa, abbandonata o arrabbiata con il suo ex e che per questo compie un atto nefasto. L’alienazione parentale sfrutta tutto ciò.”

Inoltre, Kaddari ha ricordato che in tutto ciò non è da sottovalutare la corruzione ed il business che ruota spesso intorno al sistema della custodia minorile. “Non abbiamo parlato abbastanza delle altre parti interessate in questa problematica scena, che sono gli esperti o i cosiddetti esperti o gli autoproclamati esperti,” – ha detto – “bisogna riconoscere che c’è un’enorme quantità di denaro coinvolto in questa industria artigianale dell’alienazione parentale.”

Questi scenari di sfiducia verso i tribunali e la giustizia portano ad un meccanismo di difesa da parte della madre, secondo quanto riportato da Genoveva Tisheva, membro della commissione CEDAW. Essa è quindi spinta a non denunciare la violenza per paura e per evitare che il padre possa ricorrere all’alienazione parentale, instaurando in questo modo tutto il circuito dannoso descritto precedentemente.

Gli obiettivi dell’ONU per il futuro

La conferenza della Commissione delle Nazione Unite sullo status delle donne (CSW) si è dunque conclusa esortando i partecipanti a tenere bene in mente gli obbiettivi prossimi nella battaglia all’alienazione parentale, che secondo Kaddari è solo la punta dell’iceberg nella crisi dei tribunali familiari. Tra questi, il richiamo all’educazione dei sistemi giudiziari, del pubblico, e un necessario futuro coinvolgimento e presa in carico dei problemi di custodia dei bambini anche da parte del Comitato sui Diritti dell’Infanzia dell’ONU (CRC).

La giornata di ieri è stato un traguardo importante per le tante organizzazioni, gli attivisti e gli accademici che si stanno unendo per battere l’alienazione parentale e la distorsione dei sistemi giuridici. Da una parte lo spiraglio di speranza è rappresentato dall’internazionalità e l’aiuto reciproco per fronteggiare questo fenomeno: “La conferenza di oggi è indicativa della collaborazione che ci può essere tra i paesi e tra i loro esperti,” ha convenuto Pollack, “Dobbiamo lavorare a livello internazionale su questo perché altrimenti non arriveremo da nessuna parte.” Dall’altra, il fatto che finalmente il mondo comincia a parlare dell’alienazione parentale come un meccanismo viziato da estirpare: “Stiamo cominciando a rompere il silenzio intorno a questo problema e la stampa sta prestando più attenzione,” ha concluso.

 

Articolo a cura di Eleonora Francica

 

Eleonora Francica frequenta il Master of Science in Journalism della Columbia University di New York. Originaria di Roma, è appassionata di diritti umani e questioni sociali. Si è laureata in relazioni internazionali con una specializzazione in filosofia alla John Cabot University.

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