Martedì, 26 Ottobre 2021 10:02

“Maid”: “Quando la violenza non lascia segni fisici, ma distrugge psicologicamente”

Vale la pena vedere "Maid", una serie inaugurata il 1 ottobre scorso e tratta dal libro autobiografico "Maid: Hard Work, Low Pay, and a Mother’s Will to Survive" di Stephanie Land, già autrice di "The Orange Is the new black".

In "Maid" è fedelmente rappresentata la violenza domestica sulle donne, quella che non lascia segni fisici ma distrugge psicologicamente Alex, la giovane protagonista.

Si tratta di un racconto difficile, complesso e dettagliato non tanto delle violenze in sé, ma soprattutto delle sue cause profonde e delle sue infinite conseguenze, anche intergenerazionali. Un racconto che solo una vittima di violenza domestica e istituzionale consapevole potrebbe fare.

Perché in "Maid" tuttavia è rappresentata anche la violenza di un sistema sociale che non aiuta i poveri, specie se si tratta di donne con figli piccoli, e di un sistema giuridico e giudiziario che, proteggendo la relazione paterna in base alle regole della "bigenitorialita'", non sa ascoltare né dunque riconoscere le dinamiche relazionali disfunzionali, anche quando palesemente violente, subite in famiglia dalle madri e dai bambini.

"Maid" rappresenta magistralmente una Giustizia che non interroga e non si chiede il perché, il senso delle fughe di alcune madri, del perché esse non abbiano denunciato e, se lo hanno fatto, perché non siano riuscite a farlo adeguatamente. Una Giustizia caratterizzata da tempi, iter, azioni e dinamiche processuali poco attente alle vittime ed alle situazioni di violenza domestica - compresa la violenza economica e psicologica sofferta dalle donne - che dunque finisce per tradire il suo compito, esercitando una ingiustizia che produce ulteriore coercizione sulla vittima, lasciando che sia lei ad apparire come quella inadeguata.

"Maid" racconta il sistema giudiziario americano che, analogamente al nostro italiano, nonostante proclami, programmi di aiuto e case rifugio, si perde nella burocrazia, non risponde adeguatamente alle esigenze delle vittime di DV quando esse siano anche madri di figli minori, e dunque le non protegge, tutt'altro.

"Maid" rappresenta perfettamente come viceversa il sistema giudiziario, così come concepito, finisce per accusare e condannare proprio le madri che si ribellano, denunciano e fuggono da uomini violenti: donne che si ritrovano accusate di essere "paranoiche" o rinviate a giudizio per reato di "sottrazione di minore" o calunnia. Anche quando in realtà queste madri sono state accolte in case rifugio!

La nuova, vecchia, solita frontiera della violenza patriarcale istituzionale: far apparire pazza chi si ribella ad esso

Alex, che già da bambina ha assistito alla violenza sulla madre agita dal padre, si ritrova lei stessa da giovanissima adulta a ripercorrere la stessa violenza maschile, con gli stessi rischi della madre, Paula, di approdare ad uno stato psicofisico fragilissimo:  esito di una coercizione familiare, affettiva e sociale  costante,  da cui alla madre di Alex non è mai stato consentito di uscire.

Anche Alex viene minacciata, impaurita, ricattata, solo apparentemente amata, in realtà manipolata dal suo partner, Sean, affinché lei non fugga e continui a colmare l'incolmabile: il vuoto affettivo e l'instabilità, la rabbia che affligge Sean.

Alex era rimasta incinta di lui - guarda caso-  proprio quando aveva vinto qualche anno prima l'ammissione ad un college universitario del Montana. Sarebbe stata la prima della sua famiglia a laurearsi, se non fosse rimasta incinta.

La gravidanza improvvisa la costringe dunque una prima volta a rinunciare ai suoi sogni ed alla sua opportunità di emancipazione, ritrovandosi a vivere in una condizione di precarietà, con un uomo sempre più aggressivo.

Ogni volta che Alex riproverà anche in futuro a difendere se stessa e sua figlia, a conquistare la propria piccola autonomia, verrà di nuovo colpevolizzata, frenata, bloccata, privata di qualsiasi mezzo, amicizia o opportunità che avrebbe potuto aiutarla ad uscire dalla sua condizione di totale dipendenza economica e psicologica, di povertà materiale e violenza familiare.

Finalmente trova il coraggio di scappare ma neppure la Giustizia riesce a riconoscerla come vittima e anche l'avvocata più costosa, determinata ed apparentemente in gamba- nel difendere donne vittime di violenza che non siano madri -   si rivela tuttavia impreparata, inefficace a salvare lei, proprio perché   madre di una bambina piccola. L'avvocata che inizia ad assisterla grazie all'aiuto di una ricca donna e benefattrice, nonostante le sue buone intenzioni non riesce a difenderla: non    perché non voglia ma a causa dello stesso sistema giudiziario, costruito per imporre a qualsiasi madre, pur vittima di violenza, di continuare ad essere costantemente ricattata dal padre dei suoi figli - sebbene violento-   e impossibilitata a fare alcunché, a meno che non accetti la deprivazione dei figli stessi. Anche se piccoli.

Quello rappresentato da "Maid" è un sistema sociale e giudiziale che non sa riconoscere se stesso come patriarcale, inadeguato, abnorme e violento: un sistema costruito ad immagine e per gli interessi di uomini violenti.

Cosicché Alex ogni volta viene ricondotta facilmente al suo punto di partenza, in casa con un compagno alcoolizzato e coercitivo, perché lei non può accettare di rinunciare a   Maddie, la adorata figlia di pochi anni. Ritrovandosi più volte costretta a tornare con il padre della bambina, Alex vive in un continuo "ciclo di violenza": quello descritto da Leonor Walker e che nella serie a dieci puntate viene rappresentato benissimo, ritrovandosi sempre al punto iniziale, con un uomo che - per quanto prometta e tenti di migliorare - tuttavia rimane violento, ricattatore e alcoolizzato.

Alex cade dunque in una profonda depressione da cui emergerà grazie alla sua amica, ad un programma statale di rifugio e aiuto, alla propria caparbietà e capacità. Grazie alle parole di una madre che, pur inadeguata e bipolare, ha tuttavia saputo in qualche modo instillarle da piccola una passione creativa e fiducia in se stessa.  "Tu sei luce" ripete anche alla nipotina Maddie, specie nei momenti più difficili.

Ma alla fin fine sarà soprattutto grazie proprio al padre violento di sua figlia che Alex potrà superare le catene costruite intorno a lei da un sistema familiare, sociale e giudiziale che viceversa le avrebbe impedito di spiccare il volo e realizzare se stessa.

Sean rompendo improvvisamente gli schemi riconosce la propria tossicità e  la violenza del sistema giudiziario a cui si è rivolto,  che gli consentirebbe  di togliere la madre pur adeguata a sua figlia, per darla a lui, nonostante il suo alcoolismo. Cosi  quasi di improvviso e inaspettatamente   permette ad Alex di trasferirsi a  nove ore di viaggio, in Montana, con la loro bambina, affinché ella colga la seconda opportunità accademica della sua vita. Quella opportunità che consentirà anche alla loro bambina di allontanarsi da una realtà e da un destino familiare e sociale tossico e povero.

Alex, capendo di poter a quel punto fidarsi del padre di sua figlia, gli assicurerà un contatto senza limiti.

Improvvisamente Sean ed Alex trovano dunque la soluzione migliore. E nel farlo non vi sono psicologi giuridici né Giudici e né avvocati. Solo l'amore per la loro bambina ed il riconoscimento della realtà.

La morale del film?

Che dalla violenza istituzionale non se ne esce, a causa di una "bigenitorialità" costruita ad arte che finisce per proteggere la relazione paterna anche quando violenta e per rendere le madri, specie quelle vittime di violenza, al pari delle schiave, usando il loro amore per i figli come catene.

Non se ne esce, a meno che il violento stesso non arrivi a capire se stesso, riconoscendo la propria tossicità e che quella agita dai tribunali, per garantire   i suoi interessi genitoriali anche quando perversi, costituisce la forma di violenza più atroce e pregiudizievole proprio per i suoi bambini, che finiscono così per essere privati di quel genitore che invece potrebbe salvarli, interrompendo il ciclo della violenza intergenerazionale che distrugge le loro vite.

Insomma la serie finisce bene ma solo apparentemente.... Perché la parola finale è comunque del padre violento.

E quanti mai saranno quegli uomini che, nonostante la loro indole anaffettiva, violenta e distruttiva, nonostante i loro traumi e le dipendenze sofferte, riuscirebbero ad arrivare a tale traguardo di maturità e amore autentico per i loro bambini?

Una serie dunque che da una parte nutre la speranza ma dall'altra, nonostante tutto, lascia l'amaro in bocca alle donne e alle vittime, perché conferma che la società ancora oggi è costruita su un modello e su interessi maschili e paterni, anche quando violenti. Maid fa capire come il tanto sbandierato "the best interest of child" non possa essere perseguito nei tribunali di una società così costruita.

Ma, si spera, "Maid" potrebbe costituire una sfida intelligente ed amorevole proprio per gli uomini violenti e per nuovi Giudici: per far riflettere qualche padre inadeguato ma in fondo non irrecuperabile.

Per far pensare anche qualche Giudice e gli psicologi giuridici affinché comprendano che, coloro su cui dovrebbero lavorare con percorsi formativi e psicoterapici, sono i violenti.

Non le loro vittime.

 

Articolo a cura dell’Avv. Michela Nacca

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