Cronaca di una violenza di Stato per reato di amore materno

Trascrivo la cronaca della drammatica ablazione di un bambino descritta dalla sua mamma. Un bambino condannato dal tribunale allo “sradicamento materno”. Quale la loro colpa? Aver denunciato la violenza domestica.

“Erano già due mesi che cercavano di prenderti.

Ricordo bene la tua paura, ogni volta che suonava il campanello, ogni macchina della polizia che vedevamo, ogni ambulanza, ogni volta che il cane abbaiava, ogni volta che suonava il telefono.

Ogni minuto era prezioso, perché poteva essere l'ultimo.

Mi chiedevi di scappare e ti ho spiegato il perché non avremmo potuto farlo.

Dallo Stato non si scappa, chi chiede Giustizia non può violare la legge.

Ti avevo spiegato che probabilmente un giorno ci avrebbero dato un alt e la mamma avrebbe dovuto obbedire. Tu mi rispondevi sempre: “mamma non accadrà, un giudice li fermerà”.

Quel giudice non li ha fermati e non hanno esitato ad obbligarmi a consegnarti, come se avessi con me un terribile criminale.

Vennero a casa quella mattina e noi non c'eravamo.

Mi intimarono di consegnarti, pena reati penali gravissimi che avrebbero portato alla mia decadenza e a non aver più potuto salvarti. Quindi ti ho spiegato che se scappavamo ci avrebbero comunque presi dopo un po' e che poi non avrei più potuto salvarti.

Mi dicesti: “va bene mamma ho capito, allora andiamo, tanto non mi prendono, io non vado”.

Sapevo che in un modo o in un altro ti avrebbero preso e siamo partiti.

Arrivati non volevi scendere dalla macchina. Per quattro, interminabili lunghe ore, piangevi, urlavi, eri disperato, ti stavi sentendo male.

Erano in 14…si 14. Tra agenti anticrimine, polizia, carabinieri in divisa, educatori, servizi sociali, psicologi. Tutti davanti alla porta della comunità.

Ho cercato di far sì che per lo meno non ti portassero via sfondando porte e tirandoti come una bestia, come hanno fatto in altri casi. Le telecamere hanno fatto sì che ciò non accadesse, ma è stata comunque una tortura.

Addirittura un’educatrice disse: “No, così non possiamo eseguire… il bambino è spaventato”. Hanno detto che chiamavano il servizio sociale per rimandarci a casa … ma probabilmente non ha dato l'ok.

Visto che non sapevano più come fare per prenderti hanno chiamato l'ambulanza, l'auto medica.

La nostra macchina era circondata, sembrava che fossimo dei criminali, della peggior specie.

Dopo tutti e 14 hanno parlato con me. Hanno visto che in nessun modo opponevo resistenza. Ripetevo solo che non ti avrei costretto e che era normale che tu volessi stare con me …e che strapparti in quel modo non era la cosa giusta, perché tu non avevi fatto nulla di male, se non dire di non voler vedere il tuo papà perché mi picchiava davanti a te e perché ne hai paura.

I carabinieri non hanno capito la motivazione del perché fossero stati allertati, in quanto non ce ne era il bisogno.

I dottori che sono arrivati erano increduli.

Il dottore mi disse: “signora, io devo caricarlo in ambulanza, ma lei può venire con noi, così starà in ospedale con suo figlio”. Lo guardai e gli risposi: “dottore, non sarà così”.  “Signora glielo dico io”.

Tu mi guardi e mi dici: “mamma è finita vero?”.  Io ti ho risposto che, anche se da quel giorno in poi saremmo stati separati, la mamma avrebbe fatto il possibile per fare Giustizia.  

Tu mi hai detto: “mamma …senti… tu lotta da fuori e io lotteró da lì” , “mamma quando mi libereranno faremo una grande festa con i gonfiabili e i palloncini vero?”

“Si amore, una festa grandissima”.

Tutti, il nonno e gli amici che erano lì con noi, credevano che quell'ambulanza ti avrebbe salvato. Che forse saresti tornato a casa.

Io ho abbassato la testa, avevo capito che era invece solo una delle tante strategie: non potevano mica tirarti come una bestia sotto le telecamere.

Sapevamo che qualsiasi posto non era sicuro. No, neanche l'ospedale.

Con noi sale un’educatrice della comunità, arrivati al reparto il dottore entra e dice: “Ora signora lei entra in visita con il bambino”. Escono un uomo e due donne dalla sala, non avevano i camici bianchi. Il dottore mi ha guardata, ha detto: “no, con il bambino entra la mamma”. Esce un’altra dottoressa che invece dice che deve entrare l'educatrice della comunità. Si girano e ti dicono: “Federico, la mamma esce un momento e poi rientra”.

Nel frattempo già ti stavano allontanando con il lettino.

“Signora esca un attimo, deve assistere alla visita l'educatrice, perché lei è sospesa dalla responsabilità genitoriale”.

Non ho opposto resistenza, temevo ti tirassero e ti facessero male, come fanno e hanno fatto in tanti altri casi. “Dopo la visita rientrerà” mi disse.

Il dottore esce sbattendo la porta, incredulo forse di tanta violenza e dicendo: “signora io non credevo… mi dispiace”.

Gli infermieri del 118 mi guardano increduli: “signora questa è un’ingiustizia… lei non si arrenda, forse lo visiteranno e vi manderanno a casa”, “se non fosse così, signora noi le crediamo, lei lo riporterà a casa in qualche modo”.

Ho aspettato fuori dalla porta del reparto.

Ricordo ancora il rumore delle porte, quando le hanno chiuse.

Ricordo ancora la tua faccia, quegli occhi bagnati, pieni di speranza. Non avevi capito che non sarei più rientrata, mi hai detto: “ciao mamma a dopo!” e già avevi girato l'angolo.

Io ti ho detto: “ciao amore, a dopo”. Pensavo anche io che sarei potuta rientrare.

Chiusa la porta ho iniziato a piangere, immaginavo che mai l'avrebbero riaperta, ma in fondo speravo che si aprisse.

Qualche minuto dopo sono uscite quelle due donne e quell'uomo, che guardandoli bene erano gli stessi che erano davanti la comunità.

Era l'anticrimine in borghese: “signora, lei ora se ne vada a casa, scenda con noi”.

Gli dissi: “no, fatemi capire… ora ho anche la scorta?”, “no, ora mi fate salutare mio figlio perché mi avete detto che avrei dovuto aspettare la visita… vedo come sta e me ne vado”, “un ultimo saluto cortesemente”.

“No signora… lei ora scende con noi”

“No, io ora suono il campanello e aspetto la dottoressa che mi dice come sta mio figlio…”

Dopo poco esce la dottoressa e dice che ti avrebbero tenuto in ospedale almeno per la notte, per vedere come stavi. Le ho chiesto di poterti salutare. Ha detto: “signora no, non posso” e rientra … se ne va.

Ho suonato di nuovo, l'anticrimine: “signora, è inutile che suona, non aprirà nessuno”.

Ma riapre la dottoressa. Con educazione ho detto: “Dottoressa… io non intendo in nessun modo contraddirla o infastidirla nel suo lavoro, chiedo di poter salutare mio figlio e me ne andrò senza esitare”, “chiedo di poterlo salutare”.

La dottoressa ha detto: “signora non posso… facciamo così …. le do un foglio e una penna, scriva a suo figlio un biglietto con i saluti”.

Non ti ho potuto neanche abbracciare …. neanche salutare.

Giuro che pensavo mi avrebbero fatta rientrare. Lo pensavi anche tu, ne sono sicura. Pensavi forse che saremmo usciti insieme dall'ospedale.

Invece no, l'anticrimine mi ha portata fino a sotto.

Mi hanno chiesto come stavo e cosa fosse successo. Sapevano tante bugie. Ho fatto leggere loro prove, mail, e sono rimasti sbalorditi. Hanno detto che loro dovevano eseguire… si, eseguire.  

Proprio così: “questa è un’esecuzione… avete ragione… ora posso andare?”.

No, non posso andare… hanno aspettato che qualcuno arrivasse a prendermi e sono stata scortata fino alla macchina

Ma di quale reato sono marchiata, è?

Alienazione Parentale.

Si piccolo mio, siamo stati marchiati di un reato che non esiste.

Sei rimasto lì con una sconosciuta, senza neanche un ultimo saluto, senza aver salutato il tuo fratellino, ne’ tutta la famiglia.

Ho tue notizie solo dalle relazioni depositate dal servizio in tribunale.

Nelle prime dicevi di non volerlo vedere per ciò che aveva fatto. Chiedevi continuamente di me e del fratellino. Anche nelle ultime… ma le tue parole a nulla sono servite. Nessuno le ascolta.

Ora devi vederlo.

Però non puoi ne’ vedere né sentire me, noi, nonostante tu lo chieda.

Ostacolano le nostre visite perché subordinate ad un percorso che io ho richiesto ma che non attivano, nonostante sia parte del decreto da eseguire.

Ma loro eseguono solo ciò che vogliono, così ci è negato tutto: telefonate, visite, ogni cosa.

Questo è stato l'ultimo saluto concesso da quel maledetto 11 giugno.

Resisti ancora, un giorno ti libererò e quel giorno sarà bellissimo, faremo la festa che tanto desideravi. Mamma T.”

 

Articolo a cura dell’Avv. Michela Nacca

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