Gloria, 2 anni, vittima di violenza paterna assistita, violenza istituzionale e femminicidio

Gloria era una bellissima bambina di soli due anni ed avrebbe avuto tutta la vita davanti, se non fosse stata uccisa dal padre il 22 giugno 2019, in un appartamento di via Massarotti a Cremona, dove il suo assassino si era trasferito a vivere da non più di qualche settimana.

Quattro mesi prima, nel febbraio 2019, la mamma di Gloria, Audrey Isabelle, era stata costretta a rivolgersi al Pronto Soccorso, dove le era stata riscontrata la rottura del timpano, causata dagli ultimi gravi episodi di violenza subiti dall’uomo. Immediata era stata la decisione della Procura di porre in protezione sia Isabelle che Gloria, in una struttura che le allontanasse dalla violenza di Kouao Jacob Danho, ivoriano di 38 anni, compagno di Isabelle e padre della bimba.

Ma si sa…se sei madre oggi ed in Italia, anche se le Procure ti mettono in protezione e le Corti di Assise ti condannano, viceversa i Tribunali civili che decidono dell’affido dei minori, riespongono le vittime, schierandosi sempre più spesso in difesa della relazione genitoriale pericolosa e abusante!

Non è un nostro pregiudizio: è quello che vediamo accadere ogni giorno!

E’ ciò che leggiamo negli atti processuali da molti anni.

E’ ciò che finalmente – solo dopo molte proteste, denunce di giornalisti, madri e loro avvocati, nonché omicidi e abusi di bambini riaffidati a padri violenti – ha denunciato la CEDAW fin dal 2011-2017 e dal Grevio nel gennaio 2020.

E’ ciò che a breve verrà descritto anche dai Report della Commissione Femminicidio, dopo un attento esame di ben 1.500 fascicoli processuali, corrispondenti ad altrettante donne, madri e bambini rivittimizzati nei e dai tribunali italiani.

Infatti la violenza genitoriale, spesso paterna, oggi sembra non costituire più, per i tribunali civili italiani, un pericolo o comunque un probabile pregiudizio per la vita e la futura salute dei minori coinvolti. Non è un “rischio evolutivo”!

E’ divenuta sempre più spesso “irrilevante” nelle decisioni di affido dei minori. Sicché, dinanzi a madri che chiedono protezione per i loro figli, le risposte di assistenti sociali, ctu, educatori, tutori e persino giudici  sono sempre le stesse, probabilmente suggerite in modo standard: loro “non si occupano della violenza” , “il penale non entra nel civile”, “Il padre è sempre il padre”, “signora è stata lei a scegliere questo padre per suo figlio”, “un uomo può essere un pessimo marito, violento con  la moglie,  ma al contempo ottimo padre”, ” Senza il padre, pur violento e persino se abusante, i figli rischiano di strutturare disturbi di personalità e persino un problema di identità di genere” ossia diventare gay….   fino ad arrivare alla ammissione del pregiudizio finale: “la violenza paterna è irrilevante”, non interessa!

Questi sono i mantra inveritieri e fuorvianti  che le donne, vittime con i loro figli della violenza domestica, si sentono ripetere nei gironi danteschi di molti  tribunali civili: così sono sempre più numerosi gli assistenti sociali, gli  avvocati, i tutori, i ctu, gli educatori, gli psicologi forensi   e persino i  giudici che costringono i bambini - nonostante denunce, relazioni di CAV, rinvii a Giudizio e persino condanne - a continuare a frequentare padri violenti e pericolosi o addirittura costretti ad essere affidati in via esclusiva a questi!

Operatori che sembrano aver assopito la loro intelligenza e la capacità di discernimento, persino la loro umanità, dinanzi gli assertori del falso convincimento secondo il quale l’allontanamento da un padre violento sortirebbe un pregiudizio più grave, per il minore, della stessa violenza paterna. Un dogma spacciato per scienza, dimenticando che invece, per la scienza e il buon senso, per la realtà dei fatti e per il Diritto, viceversa è proprio la violenza a costituire il più grave ed il più importante fattore di pregiudizio per il minore e dunque dovrebbe essere il primo elemento da verificare ai fini della valutazione della capacità genitoriale.

Le Convenzioni internazionali ed europee, la stessa  Costituzione italiana riconoscono, infatti, ai bambini gli stessi diritti inviolabili degli adulti alla vita, alla sicurezza, alla salute, all’autodeterminazione libera da ogni forma di violenza (art. 2 Costituzione)  non esclusa ovviamente quella genitoriale, compresa quella particolare forma di violenza, di tipo istituzionale,  che si estrinseca in tutti quegli abusi  commissivi ed omissivi che hanno come conseguenza il mantenimento della vittima in situazioni di rischio o l’esposizione a nuovi rischi.

L’art. 30 della Costituzione italiana sancisce il dovere dei genitori (non il diritto dei genitori!), di mantenere, istruire ed educare i figli, ma è il successivo art. 31 che ancor più esplicitamente stabilisce una particolare protezione costituzionale all’infanzia, congiuntamente alla maternità ed alla gioventù, riconoscendo ad esse una speciale rilevanza per la società intera, per il futuro del Paese: nella consapevolezza, indirettamente espressa in quell’art. 31 della Costituzione italiana, della rilevanza della speciale relazione materna e dei rischi di derive violente patriarcali.

Tre articoli costituzionali che dettano le linee guida essenziali e fondamentali che dovrebbero guidare i Giudici nel decidere tutti i casi di affido dei minori. Si tratta di principi e norme fondamentali che oggi, invece, e sempre più spesso, vediamo violate e reinterpretate in modo fuorviante proprio nei tribunali italiani, indottrinati alla “pseudoteoria” e “apice della follia” Alienazione Parentale.

Perché stupirsi di questa follia, mancanza di empatia raggiunta – sempre più di frequente - dalla Giustizia civile italiana in poco più di 20 anni?

Gli esiti non erano ovvi? Era evidente che la stessa irrazionalità, infondatezza e violenza della teoria gardneriana avrebbe comportato una grave distorsione del nostro sistema giudiziale!

E del resto lo stesso R. Gardner avvertiva che, gli operatori dei tribunali che avrebbero dovuto “curare” la Parental Alienation, dovessero avere caratteristiche particolari:"Insight, tenderness, sympathy, empathy have no place in the treatment of Pas" (R.A.Gardner).

E’ così che, anche nel caso di Gloria, il tribunale civile competente ha ritenuto che Jacob Danho fosse pericoloso per Isabelle ma non certo per la figlia  e dunque “per il supremo bene della bambina” – disinteressandosi del tutto delle richieste disperate di protezione di Isabelle e delle prove delle minacce ancora esercitate dall’uomo - ha permesso che quel 22 giugno 2019 egli potesse prenderla liberamente  dalla casa protetta ‘Il Focolare Grassi’, in via Bonomelli a Cremona, dove Gloria ormai da mesi viveva con la mamma.

E’ stato il tribunale - quantomeno indirettamente, lasciando probabilmente a servizi sociali o educatori la decisione della scelta - ad autorizzare gli incontri paterni, permettendo a Danho  di  condurre in casa propria la bimba e di colpirla più volte con un coltellaccio della cucina, ferendola mortalmente.

Gloria peraltro non sarebbe morta subito, ma lasciata morire in conseguenza delle ferite mortali.

Anche Federico Barakat, i fratelli Iacovone, le sorelle Capasso, i fratelli Pontin sono stati uccisi perché, ritenendo i loro padri violenti una risorsa per i figli, più che un pericolo, non sono stati protetti dai tribunali italiani “per il loro bene” .

Istituzioni che si sono fatte braccio armato dei violenti, favorendone l’agire criminoso!

Jacob Danho, fermato dalle forze dell’ordine, per mesi ha tentato di fuorviare furbescamente le indagini parlando, sia davanti al PM prima e anche nel successivo interrogatorio di garanzia, di un fantomatico rapinatore che, introdottosi in casa, avrebbe ucciso la figlia. Soltanto sei mesi dopo l’omicidio, inchiodato dalle prove del DNA effettuate sul coltello, ha finito per confessare l’omicidio.

Non contento ha tuttavia continuato a tentare una discolpa: in che modo? In quello classico di tutti gli uomini violenti: colpevolizzando le vittime! Spostando il focus di indagine, delle accuse e dell’attenzione giudiziale su Isabelle.

Nella sua requisitoria il PM ha tuttavia messo bene in evidenza come l’omicidio, in realtà, sia maturato come ritorsione vendicativa verso la madre di sua figlia: Audrey Isabelle era colpevole, agli occhi dell’uomo, di aver scelto di lasciarlo e denunciarlo. Audrey Isabelle – in una cultura pregna di potere violento maschile – avrebbe dovuto pagare quello che è stato vissuto come un affronto, attraverso il sacrificio del suo bene più caro: la vita della figlia.

La classica punizione dei violenti: “ti toglierò per sempre i figli”.

La maggior parte dei padri violenti italiani oggi realizza ciò grazie alla strategia processuale Parental Alienation…altri, come Danho, lo fanno ancora con l’omicidio.

Dal marzo al maggio 2019 Jacob Danho, infatti, aveva ripetutamente inviato messaggi a Isabel, cercando di persuaderla a tornare da lui, affinché esse tornassero sotto il suo controllo ed il suo potere. Lo aveva fatto utilizzando varie strategie: dapprima con parole apparentemente gentili ed appellandosi all’amore di Isabelle, poi pensando di coartarla sfruttando la sensibilità religiosa della donna. Messaggi che a persone inesperte possono essere sembrati pacificatori, in realtà caratterizzati da un linguaggio tipico dei violenti: i quali, talvolta, si esprimono in modo esplicitamente aggressivo, ma altre usano una comunicazione manipolata, apparentemente pacificatoria   per ottenere ciò che vogliono (ossia l’abbassamento delle difese della vittima), arrivando a strumentalizzare chiunque e qualunque situazione. Fino alle minacce esplicite.

Si tratta di una alternanza di modalità linguistiche che riflettono il cd. “ciclo della violenza”, descritto da Leonor Walker, in un andirivieni di messaggi di falso amore e vere violenze.

Il primo sms inviato da Jacob Danho al cellulare di Isabel era stato del 12 marzo, l’ultimo del 2 maggio 2019, quando la mamma di Gloria – terrorizzata dalla escalation della violenza verbale - aveva deciso di bloccare i messaggi dell’omicida!  Lui inizialmente le aveva scritto: “No, non è la soluzione. Ti prego per l’amore di Dio”,  ma  una sera  le aveva anche digitato: “Non dare ragione al diavolo, dalla a Dio e a suo figlio Gesù Cristo” (v. in  https://www.laprovinciacr.it/news/cronaca/237594/il-padre-di-gloria-ha-confessato.html), lasciando già presagire conseguenze “diaboliche” minacciose, tuttavia  strumentalmente, attribuendone  ingiustamente  la  responsabilità  in capo alla donna, quasi a delineare già all’epoca quella che poi effettivamente è diventata successivamente la sua strategia difensiva nell’aula del tribunale: quella tipica di ogni uomo violento che immancabilmente  attribuisce le colpe - in realtà proprie - alla vittima, tentando di dipingere le proprie azioni omicidiarie  solo come  reazioni: cosi pensando di trovarvi giustificazioni esimenti o attenuanti.

"Ho avuto una follia nella mia testa, sono come impazzito, ho perso la testa, mi ha preso la follia... una follia non naturale, ero vittima di una stregoneria", ha infatti poi detto questo padre indegno dinanzi la Corte di Assise, tentando addirittura di responsabilizzare dell’omicidio della figlia non solo Isabelle ma anche la famiglia materna, che vive in Costa d’Avorio.

Così la madre e, soprattutto, una zia di Isabelle, descritta da Danho come una “santona”, sono divenute i suoi alibi: la zia, secondo la furbesca strategia difensiva di Danho, avrebbe avuto “poteri di creare del male a distanza anche in Italia” e proprio lei - a suo assurdo dire - lo avrebbe indotto, complici la moglie e la suocera, ad uccidere la figlia Gloria.

Oltre la violenza domestica agita su Isabelle alla presenza di Gloria, oltre l’uccisione di Gloria, oltre la violenza istituzionale che ha permesso ad un uomo violento e pericoloso di poter tenere con sé liberamente la figlia, vediamo aggiungersi l’ulteriore violenza del racconto difensivo processuale di Danho: il quale ha chiesto che venisse riconosciuto almeno il suo vizio parziale di mente, a suo dire dovuto alla stregoneria a cui sarebbe stato soggetto, ai problemi con Isabelle e con la famiglia di lei, con  il lavoro che non andava bene e rischiava di perdere “perché non era concentrato”: tutte circostanze del tutto irrilevanti e strumentalmente dipinte come attenuanti, o esimenti, perché tali da aver creato – a suo dire - una “grossa confusione mentale” nell’imputato.

Secondo la strategia difensiva dell’omicida, la mamma e la zia veggente di Isabelle magicamente diventano “i personaggi chiave di una storia di immigrazione e povertà”….non Jacob, il personaggio chiave dell’omicidio di Gloria!

Il focus è spostato e, come nelle classiche strategie a difesa di imputati accusati di femminicidi, stupri e violenze domestiche, le vittime diventano colpevoli e viceversa il colpevole assume la maschera della vittima.

Dimenticando che il reato per il quale viene processato - l’omicidio della figlia -  Danho si difende sostenendo che Isabelle non fosse affatto succube di lui perché ella “aveva preso la patente, godeva di assoluta autonomia, si gestiva, aveva la baby sitter pagata 175 euro al mese e aveva la propria carta di credito”. Come se le donne emancipate – e le loro figlie - non possano essere vittime di violenza, a prescindere!

Come se la violenza agita sulle donne emancipate fosse da giustificare!

Quelle circostanze che per Danho dovrebbero costituire delle attenuanti, in realtà sono le motivazioni che lo hanno spinto ad uccidere la figlia: per punire Isabelle per il suo desiderio di autonomia!

Jacob Danho dinanzi la Corte di Assise ha pensato di giustificare se stesso rivendicando che Isabelle “scalpitava perché voleva un alloggio più grande, ma Danho non riusciva economicamente.” Cosi avrebbe detto la sua difesa.

Come se un uomo, dinanzi la richiesta di una moglie di avere una casa più grande, potesse essere giustificato a malmenarla selvaggiamente, tanto da romperle un timpano, o fino ad ucciderne la figlia per vendetta! 

Come se una moglie o una donna che esprime delle richieste ad un compagno debba lecitamente aspettarsi di venir malmenata e uccisa!

Come se delle semplici richieste o domande fossero da considerarsi violenza, per uomini incapaci di confronto che reagiscono violentemente!

“… C’era anche la zia santona che gli chiedeva di inviarle soldi in patria. Per tutti questi motivi nella coppia, dal febbraio del 2019 si erano create tensioni e discussioni che hanno provocato in Danho uno stato di stress e difficoltà… Per lui, definito da tutti un padre amorevole, è stato un travaglio psicologico”, avrebbe sostenuto la difesa di Danho.

Ma come può definirsi “amorevole” un padre che massacra la madre dei figli? Come può considerarsi affettuoso un padre che minaccia?

Anche l’iniziale depistamento delle indagini, portato avanti per mesi ostinatamente dall’omicida e dalla sua difesa, è stato descritto come una mera “fantasia onirica” che, a parere della difesa, avrebbe dimostrato la di lui incapacità di intendere e volere.

Anche questa è una rivittimizzazione di Gloria ed Isabelle.

In realtà Jacob era solo "un uomo violento " come ha raccontato Isabelle in Giudizio. E lo è diventato non d’improvviso, quel giorno del 22 giugno 2019, ma da tempo. Tanto da aver costretto Isabelle a chiedere aiuto anche alle Istituzioni italiane, ma avendo trovato una protezione effimera ed essa stessa rivittimizzante!

Ma se la difesa di Danho risente degli stessi pregiudizi e modalità violente, arrogantemente autogiustificative e fuorvianti del suo autore, in verità anche la requisitoria del PM – riportata da alcuni giornali - ci sembra nonostante tutto e per alcuni tratti. intrisa di altrettanti pregiudizi verso la vittima.

 “Dietro questa vicenda c’è la crisi di una coppia. La compagna voleva integrarsi ed emanciparsi, mentre lui non lo accettava…”. Ha detto il PM, che su Audrey Isabelle ha detto essere “una teste altamente credibile e attendibile”, aggiungendo “non si è mai trasformato in un intento ritorsivo” mentre l’imputato, per il PM, “non si è mai dato pace per la rottura con la sua ex, per la quale provava un sentimento morboso. Lui si era speso al massimo per lei, e la donna non lo poteva lasciare”.

Ma veramente questa è solo la storia di una coppia “in crisi”?

E che senso ha andare ad indagare se Isabelle avesse o meno un intento vendicativo, dopo la morte della figlia…o anche prima?

Forse sarebbe stata meno vittima? Forse la rottura del timpano e l’omicidio di Gloria potrebbe diventare meno grave?

E che senso ha chiedersi se Danho si fosse “speso al massimo” per Isabelle?

Le coppie in crisi non esitano nelle lesioni, nei maltrattamenti e persecuzioni subite da una sola parte né infine nell’omicidio di una figlia!

La violenza NON E’ CONFLITTO!

Perché sostenere che il dolore di Isabelle avrebbe potuto trasformarsi in intento ritorsivo?

Forse se Isabelle avesse nutrito desideri ritorsivi verso Jacob ciò avrebbe mai potuto giustificare le azioni violente e, soprattutto, l’omicidio di Gloria da lui commesso?

Forse potrebbe attenuarne le responsabilità o la gravità dei reati commessi?

Dopo decenni stiamo ancora qui a chiederci se l’uso di una minigonna da parte della vittima giustifica lo stupratore? O se il comportamento di una moglie giustifica la violenza maschile e persino l’omicidio di una figlia di due anni?

Ovviamente il PM ha dovuto rispondere alle argomentazioni difensive dell’omicida…

Ma perché siamo costretti a dover raccogliere la provocazione della difesa riaffermando che “lui si era speso al massimo per lei”?

Perché dover ancora ascoltare, nelle aule dei tribunali, queste suggestioni pseudogiustificative, che spostano il focus discriminante e pregiudizievole sulle vittime, rivittimizzandole?

Dubitiamo che Jacob possa mai essersi “speso”: né per Isabelle, che ha mandato al Pronto Soccorso, né verso Gloria, ammazzata barbaramente con un coltello.

“Audrey, vivi senza di noi …e anche Gloria non è mai stata amata nè da te nè da tuo padre e tua madre. Aspetta la compensazione per diventare ricca”.

Così Jacob avrebbe scritto sul proprio calendario tre settimane prima dell’omicidio della figlia: per il PM un chiaro “monito, è la prova della premeditazione, così come lo è stata anche la richiesta, il giorno dell’omicidio, di poter passare tutta la giornata con la figlia: lui aveva elaborato un piano d’azione ben preciso… Ha ucciso la piccola Gloria per vendicarsi di mamma Isabelle che lo aveva lasciato. Un delitto efferato, il peggiore delitto: ha ucciso la sua bimba".

I difensori di Danho hanno tentato di smontare l'aggravante della premeditazione - che è quella che avrebbe portato alla condanna all'ergastolo – ed hanno chiesto alla Corte d'Assise di riconoscere la diminuente del vizio parziale di mente secondo le conclusioni del loro consulente tecnico. 

La Corte d'Assise - presieduta dal giudice Anna di Martino – il 18 gennaio scorso, ha emesso la sentenza, letta alle ore 13.41: Danho Jacob è stato condannato all’ergastolo per omicidio volontario della figlia, pur escludendo la premeditazione.

Ma noi ci chiediamo: chi ha permesso che tutto ciò accadesse, rifiutandosi di considerare la violenza già dimostrata da Jacob? Svalutando le richieste di aiuto di Isabelle? Omettendo di considerare le minacce e le manipolazioni che il padre di Gloria ha continuato a manifestare? Chi ha imposto a Gloria di continuare a frequentare un padre pericoloso?

 

Articolo a cura dell’Avv. Michela Nacca

 

NOTA: Le dichiarazioni in Giudizio, sopra riportate , sono tratte da vari articoli pubblicati da “Cremona Oggi” (v. in https://www.cremonaoggi.it/2020/12/17/omicidio-gloria-il-pm-chiede-lergastolo-per-il-padre-danho/ ).

 

 

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