Storia di Chiara: ''Lei era mia madre''

Forse appartiene a ciò che viene comunemente chiamato istinto di sopravvivenza il guardare, a ritroso, eventi significativi e particolari della nostra esistenza e vederli privi, o quasi, di quella connotazione drammatica che invece li aveva contraddistinti. Anche nella poetica di Giacomo Leopardi è presente tale aspetto: il passato, appunto, che risulta quasi addolcito, mi perdoni il Poeta, o di cui addirittura conserviamo immagini, il ricordo di ciò che è stato e soprattutto di come lo vivemmo, in una versione, in una stesura mentale ed emotiva, quasi ammorbidita. Rinnovo le mie scuse al grande Leopardi. Fu dunque l'estate dei quarant'anni di Chiara; era in vacanza in una bellissima località di mare (in cui, in seguito, non ritornò più) quando ricevette la notizia che il suo babbo, improvvisamente, se ne era andato; ritornò immediatamente nella città in cui vivevano i suoi genitori, nello sconcerto attonito che un evento simile provoca nella vita di chiunque e, in più, con l'affetto e la responsabilità di occuparsi della madre, allettata da tempo a causa di varie, serie patologie. Trascorse quindi quel periodo in cui occorre occuparsi di tante, tante cose; ci si stupisce di se stessi, non ti passa nemmeno per la testa il pensiero di non farcela, accompagnati dalla straziante lacerazione di una simile perdita. Ce la fai, provvedi a tutto; nel contempo, come successe a Chiara, cerchi di gestire al meglio il dolore di una donna fragile, tua madre, la cui vita ha conosciuto certamente più spine che rose, nella consapevolezza amorevole che, per lei, sei sempre stata la rosa più preziosa e più profumata. Poi, dopo, alcune settimane, riprendi fiato e, seppure nel drastico cambiamento di due vite, la tua e quella di tua madre, le giornate ritornano ad assumere una parvenza di normalità: sicuramente una normalità anomala, difficoltosa, faticosa, pregna di timori ed incertezze e disagi. Comunque una normalità. Poi, esattamente 50 giorni dopo "quella" telefonata, così stridente ed aspra rispetto ai luoghi in cui si trovava quando la ricevette, ne giunse un'altra.

Chiara, da tempo, conviveva ed abitava a poco più di una ventina di km dalla città in cui era cresciuta e da cui, poi, se ne era andata, per vivere la sua vita. Quella sera, verso le 18 circa, rispose al telefono di casa e udì distintamente la voce della zia che, quasi gridando, le disse: “Daniela, corri subito da tua madre, è successo qualcosa. Sta molto male”. In men che non si dica la giovane donna allertò i soccorsi che, nel giro di pochi minuti si recarono all'abitazione della madre; intanto lei, col cuore in gola, si mise in strada per raggiungerla. Arrivata davanti al casamento popolare in cui la madre viveva, naturalmente accudito, giorno e notte, da una signora, le luci dell'ambulanza ed il trambusto del soccorso, l'accolsero. Scese un po' barcollando dall'auto, sentendosi mancare. Si fece forza, s'avvicinò ai soccorritori chiedendo: “È viva??”. Alla risposta affermativa si riprese accingendosi a seguire il mezzo di soccorso che, a sirene spente, iniziò a dirigersi verso l'ospedale: il fatto che non avessero azionato le sirene la rassicurò un poco. Ed iniziò l'attesa. Trascorse un tempo indefinito; sul pannello del Pronto Soccorso campeggiava la scritta Emergenza in corso; Chiara si rese conto che la cosa riguardava sua madre soltanto quando le fu comunicato che l'avrebbero portata in reparto e lei domandò “In quale reparto?” E la risposta fu “In quello di rianimazione, signora”.

Era la sera, ormai la notte, di lunedì 21 agosto 2000. Chiara ritornò a casa, non era possibile entrare. La mattina dopo raggiunse nuovamente l'ospedale. Si rese presto conto che la situazione era grave; era cosciente, povera creatura e le fu consentito di avvicinarsi. La madre la riconobbe, la guardò, grata, con un'immensa dolcezza negli occhi mentre Chiara, tenendole una mano, le diceva “Mamma, sono qui, non ti preoccupare”. Quello sguardo condiviso fu il loro ultimo saluto. E Chiara ritornò in sala d'attesa, stringendo nella mano una piccola tartaruga, portafortuna, di pietra. Le ore trascorsero. Ad un certo punto Chiara si rivolse ad un medico che le disse: “Signora, sua madre è in pericolo di vita”. Come se lei non se ne fosse accorta. Verso le 18 la cercarono due medici chiedendole se potevano farle l'autopsia poiché, ormai, era questione di minuti. Chiara dissentì e disse loro che era disposta a donare gli organi. “Purtroppo, signora non è possibile. Sta morendo di setticemia”. La fecero, poco dopo, entrare per un ultimo saluto. Se ne era andata. Sua Madre. Si avvicinò al letto, la guardò e le disse: “Grazie, mamma”.

Era il 22 agosto 2000. Ho raccontato oggi questa storia pensando a tutte le madri afgane che stanno vivendo, stanno subendo ciò che è sotto gli occhi del mondo. Madri che, pur di salvare i loro bambini li affidano a sconosciuti, in uno scenario agghiacciante. Per concludere questa difficile narrazione che mi ha condotta a confutare ciò che affermavo all'inizio, desidero solo inviare un pensiero a quella creatura preziosa che è stata mia madre, con tanti, troppi problemi e che, nonostante ciò, mi amò tantissimo. Come fanno tutte le madri.

 

Racconto a cura di Daniela Minozzi

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