Per non dimenticare Mina, arsa viva e morta dopo sette giorni di agonia

La sera del 27 settembre 2020 Mina Safine, donna di 45 anni originaria del Marocco, è stata aggradita con una violenza inaudita dal marito Abderrahim Senbel, 54 anni, connazionale, nella casa in cui risiedeva in una frazione della città di Brescia.

L’uomo pare le abbia buttato addosso del liquido infiammabile che, oltre alle gravi ustioni sul corpo di Mina, ne ha provocate altre, meno gravi, su lui stesso e un terribile incendio nell’appartamento.

Durante il soccorso dato dai Vigili del Fuoco Mina, in preda alle fiamme, riferisce che il responsabile è il marito, oltre al fatto che viene ritrovata la bottiglia di liquido infiammabile. Dopo una settimana di agonia ricoverata al reparto grandi ustionati dell’Asl di Genova, Mina muore.

Il marito viene arrestato con l’accusa di tentato omicidio, infatti, grazie anche alla testimonianza dei vicini che avevano sentito le urla, pare che l’aggressione sia avvenuta al culmine di un litigio, nonostante lei avesse cercato di scappare. Lui all’inizio si rifiuta di parlare con gli inquirenti, poi si difende asserendo che sarebbe stata la moglie a compiere il gesto e che lui, da parte sua, l’aveva solo aiutata a spegnere le fiamme e aveva poi chiamato i soccorsi. Colpa delle difficoltà economiche e di una forma di depressione.

Dimesso dall’ospedale viene portato in carcere e, alla morte di Mina, l’accusa si muta in omicidio volontario aggravato. Nel giugno del 2021 la Procura di Brescia ha chiuso le indagini, predisponendosi a chiedere il rinvio a giudizio.

 

Articolo a cura di Lucia Ottavi

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