Giovedì, 27 Maggio 2021 11:40

La storia di Chiara: ''Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa cosa lascia ma non cosa trova''

Un conosciuto detto popolare afferma: “Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa cosa lascia ma non cosa trova”. A Chiara sono sempre piaciuti tanto i proverbi ed ancora oggi si diverte, talvolta, ad associarne uno ad un particolare momento della quotidianità; ritiene inoltre che, negli stessi, si trovi tanta verità, quell'aspetto autentico dell'umana realtà troppo spesso mistificato e manipolato. La storia che segue racconta e rappresenta, tra i tanti esempi di cambiamento che le persone possono operare nella loro vita, soprattutto quando la stessa lo necessita in maniera quasi improcrastinabile, una decisione appunto finalizzata ad un miglioramento del proprio "status vivendi". Si può dire? Dunque; in quel mattino d'aprile, la giovane donna, non avrebbe mai pensato, come in realtà stava facendo, di rientrare in un edificio scolastico; in quella tipologia particolare che racchiude l'istruzione e la formazione dei bambini della scuola elementare e, le ragioni per cui ciò, invece, si stava verificando, non erano né relative ad un fanciullo che entrava o usciva da scuola né alla figura di un adulto che lavorava nella stessa.

Chiara, trentacinquenne, usciva allora da un lungo ed insidioso tunnel, che aveva visto i suoi giovani anni pesantemente e dolorosamente condizionati da una progressiva difficoltà deambulatoria, che l'aveva costretta ad una delicata e drastica decisione: due importanti interventi ortopedici che le avevano permesso oltre a farla stare fisicamente meglio, di continuare, lavorando, ad essere economicamente autonoma. Situazione, a mio parere, fondamentale per una donna. Già, ma che ci faceva, in quel fresco mattino d'aprile, davanti a quel plesso scolastico? Partecipava, dopo un'accurata preparazione, al concorso a livello nazionale per diventare "docente di ruolo" o, come lei preferiva, maestra. Non è di poco conto sottolineare che, la giovane donna, non era affatto disoccupata bensì, da quasi una decina d'anni, era dipendente a tempo indeterminato di un'amministrazione in cui avrebbe potuto restare fino alla pensione. Chiara dunque entrò, con altre ragazze, nell'atrio della scuola e furono indirizzate nelle varie aule in cui avrebbero sostenuto la prova scritta; il tempo di guardarsi attorno, accorgendosi che la larga maggioranza delle aspiranti era sui vent'anni d'età e poi si ritrovò sul banco le tracce per il tema. Fu così che, dopo ben 17 anni dal componimento svolto all'esame di maturità, iniziò a raccogliere le idee e, come le succede anche ora, dopo aver iniziato a scrivere, le parole e le frasi se le ritrovò in punta di penna, provenienti, oltre che dal suo livello d'istruzione e di preparazione al concorso, anche dalla sua personalità ed esperienza di vita.

Quando successivamente venne a conoscenza di aver superato la prova scritta, che è quella fondamentale in certi concorsi, fu così felice che le sembrò di ritornare ai suoi 18 anni, quando la malformazione ossea, che si palesò dolorosamente pochi anni dopo, non le dava ancora problemi e lei, ignara della sua presenza, si era dedicata a diversi sport, dal nuoto al karate, per citarne soltanto due. Ci fu poi il momento della prova orale, brillantemente superata, nonostante l'emozione. Risultò quindi tra i vincitori del suddetto concorso; non era però al corrente di quando sarebbe potuta entrare, in veste di maestra, in una classe di piccoli alunni. Trascorse il tempo, trascorsero mesi, addirittura quattro anni da quella mattinata d'aprile; finché le fu recapitata una raccomandata in cui c'era scritto che, il lunedì successivo, era tenuta a presentarsi al Provveditorato della provincia per “immissione in ruolo”. Sarà stata l'emozione, grande, sarà stata la lunga attesa o chissà quale altro fattore che Chiara, tenendo tra le mani la comunicazione, si ritrovò a fissarla e a dirsi: “Cosa succede ora?”. Si diede un pizzicotto sul braccio che la riportò alla realtà; nel giro di una ventina di giorni si licenziò, scelse la sede scolastica e, tra lo stupore, la gioia, l'incredulità di parenti, amici e conoscenti, si ritrovò, alla soglia dei quarant'anni d'età, nel ruolo di "magistra". Educatrice.

Memorabile, indimenticabile quel momento in cui mise piede in una classe, una seconda elementare, affollata di bimbetti vivaci. Ma questo costituirà il succo di altre, nuove storie. Ritornando ai detti popolari, che costellano così frequentemente segmenti della nostra vita, mi piace ora soffermarmi su questo: “Chi non risica, non rosica”. Sorvolando sui termini in cui, da cultrice della parola quale sono, ravviso una nota di volgarità, concordo molto sul contenuto. Chiara, in verità, non si espose allora ad un grosso rischio: anche se vincitrice di concorso avrebbe potuto decidere di non entrare in quel complesso, affascinante, composito mondo che è la scuola, con le incognite, le responsabilità, l'impegno che ciò avrebbe comportato. Ebbene, nei quattro anni e più di attesa, non le passò mai per la mente di non accettare la prospettiva che si era offerta, che le si era aperta, superando il concorso. Estendendo la riflessione sul suddetto proverbio a tante, articolate e diverse, prospettive di cambiamenti considerevolmente importanti, come quello di un nuovo posto di lavoro, credo che occorra, in ogni caso, esporsi ad un rischio. O più esattamente, mettersi in gioco. Come fece Chiara, in un fresco mattino d'aprile, entrando in quella scuola.

 

Racconto a cura di Daniela Minozzi

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