La storia di Chiara: ''Mi voleva stuprare, sono riuscita a scappare''

Era una domenica mattina di primavera inoltrata, quel giorno; negli anni in cui le stagioni erano ancora nettamente suddivise e lo scorrere del tempo defluiva, gradualmente, con una sorta di dolcezza, nei diversi cambiamenti di temperatura, di insolazione, di precipitazioni: si poteva davvero fare riferimento alle 4 stagioni, come nella celeberrima composizione musicale di A. Vivaldi. Chiara (nome di fantasia), da alcuni mesi, aveva iniziato a far volontariato nel canile della sua città, allora situato ad alcuni chilometri dal quartiere dell'estrema periferia in cui era cresciuta; inforcava la sua Graziella, una bicicletta assai diffusa in quel periodo, e raggiungeva la struttura. Là la aspettava, quasi sempre, il suo amico Fabio con cui condivideva l'amore per gli animali. Con l'entusiasmo e l'energia dei loro giovanissimi anni, erano entrambi tredicenni, si occupavano di ciò che era necessario fare: il lavaggio dei cani, la sistemazione dei box e l’accudimento alle bestiole più bisognose. La ragazzina, già da quegli anni, non difettava certo in indipendenza e spirito di iniziativa e, le rare volte in cui Fabio non poteva essere presente, svolgeva ugualmente le sue ore di volontariato. Al canile municipale lavorava, nel ruolo di custode, un uomo a cui Chiara non riusciva ad attribuire un'età certa ma, dalla prospettiva dei suoi pochi anni le sembrava fosse una persona più che matura, sicuramente oltre i 45 anni del suo babbo. Apriva loro il cancello, si salutavano, si eclissava per quasi tutto il tempo della loro permanenza tra i cani e poi, un ultimo saluto quando ritornavano a casa. Chiara, fin da quando era piccina, aveva un'innata propensione alla tenerezza; quando le capitava di litigare con un amichetto era sufficiente che guardasse in viso la bambina o il bambino coinvolto nel bisticcio perché si ritrovasse immediatamente a dimenticare il piccolo torto ricevuto, vero o presunto. E faceva pace. Anche quell'uomo, il custode del canile, le suscitava tale sensazione: quella che, ai giorni nostri, siamo avvezzi a denominare empatia. Le dava l'impressione di una persona quasi sperduta nella sua solitudine e, già da alcuni giorni, aveva deciso che, la domenica successiva, gli avrebbe portato un vassoio di paste: dolce proponimento nei confronti di un altro essere umano di cui percepiva la sofferenza. Così almeno lei credeva.

Aveva tredici anni. Quella mattina, dunque, fu accolta come sempre dall'abbaiare dei cani; varcò la soglia dispensando carezze a quei pochi non rinchiusi nei recinti e nei box, accorsi a farle festa. Salutò il custode e s'accinse a darsi da fare. Quel giorno, però, le avrebbe riservato qualcosa di nuovo e di impensabile. Ciò che successe si manifestò improvvisamente, con la rapidità brutale degli eventi gravi. Chiara, in quel momento, era all'interno della parte in muratura della struttura quando quell'uomo, guardingo e di soppiatto, le si avvicinò parecchio e le chiese: “Hai bisogno di soldi?”. Quattro parole, soltanto quattro parole che le fecero immediatamente capire a cosa alludeva il custode. Altrettanto rapidamente Chiara gli si rivolse e guardandolo in faccia, iniziò a parlargli; ciò che gli disse quasi sgorgava dal suo animo di ragazzina sensibile ed intelligente, un torrente di parole espresse con apparente tranquillità e volte a farlo desistere dalle sue più che evidenti intenzioni: un tempo che ebbe probabilmente la durata di alcuni minuti ma che a Chiara parve lunghissimo. Questo flusso di parole fu interrotto dal suono stentoreo del campanello: era domenica, giorno di visite. Il custode aprì, entrò una coppia di fidanzati e Chiara si fiondò, correndo e lasciando scorrere lacrime di paura, di sollievo, di dolore, verso l'uscita. Riuscì a sentire: “Perché piange, quella bambina?”, “Era venuta a cercare il suo cagnolino e non l'ha trovato”. Lei salì sulla bicicletta e pedalando a più non posso corse verso casa. Non riuscì a raccontare alla mamma, quel giorno e nei successivi, quello che le era successo, la violenza che aveva evitato. Questo episodio, se così vogliamo chiamarlo, ebbe ripercussioni importanti nella personalità che si stava strutturando e nella vita quotidiana di Chiara. Fu per lei una sorta di acquisita consapevolezza di un aspetto della realtà sociale; un brusco passaggio nella sua visione e, soprattutto, percezione di se stessa, adolescente. E di come poteva essere percepita. Si rese conto che gli uomini, il genere maschile, quello che per età era assai lontano da lei, poteva guardarla "in un certo modo" ed avrebbe potuto farle del male, molto male, violando il suo animo, il suo sentire. La personcina che era. Soprattutto percepì, nettamente e dolorosamente, che il suo corpo, da poco sbocciato nella meraviglia della femminilità, era visto da certi personaggi indegni di essere chiamati adulti come qualcosa che poteva essere sopraffatto dalla forza fisica di chi, nel cuore e nella coscienza non possedeva certo la medesima forza: diventava quindi mero strumento su cui riversare la bassezza del loro istinto sessuale.

Ora, che di anni ne sono trascorsi davvero tanti, la donna che è diventata mantiene il suo sguardo lucido e critico sul sociale e sulla drammatica realtà delle violenze ai minori; porta dentro di sé la ragazzina che era, ciò che avrebbe potuto succederle, il ricordo dei pensieri e delle sensazioni di quel periodo. E sostiene, da sempre, che quando un adulto è sul punto di esercitare Violenza, sotto qualsiasi forma, a bambini e ragazzi, dovrebbe ricordare, solo per un momento, come si sentiva quando aveva la loro età, come vedeva il mondo, cosa si aspettava da chi lo amava e lo tutelava. Forse..... chissà.... Nell'esistenza di ciascuno di noi ci sono giorni memorabili, destinati a lasciate un segno. A volte, per sempre. Quando si riesce, perché lo si vuole, perché si sceglie di farlo, perché si lotta, a trarre Perle Preziose da tali drammatici momenti, com'è successo a Chiara, ci si arricchisce e ci si rafforza. Si va oltre. E, riferendomi a questo specifico racconto di vita, è possibile rivivere, oltre tutto il male, la tenerezza nei confronti di un uomo solo a cui, in una qualsiasi domenica, una tredicenne voleva portare un vassoio di paste. Quel giorno.

 

Articolo a cura di Daniela Minozzi

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