Venne uccisa dal marito, nessun risarcimento per le figlie

Siamo a Palermo. Lei è Lisa Siciliano. Il 7 febbraio del 2012 è stata uccisa dal marito Carabiniere. Lisa si era rivolta alle Forze dell’Ordine prima di essere assassinata, aveva segnalato e denunciato l’ex marito che la intimidiva. Chissà “con quanta paura e angoscia si era rivolta proprio a quei colleghi del marito che, vivendo negli alloggi limitrofi, non potevano non sapere di ciò che la donna stava subendo”. Una donna che sperava di trovare almeno nello Stato un punto di appoggio, una protezione, aveva raccontato che “il marito” non rispettava le sue scelte, che la minacciava, anche davanti alle figlie minori, che “lui” era violento, che la picchiava, e urlava contro spaventandola al punto da non riuscire a far rispettare la legittima volontà di non volersi più relazionare a “lui”, di voler essere rispettata nel proprio corpo, nella mente e nei sentimenti. Lisa era semplicemente una donna che voleva solo vivere in pace, dopo gli alti e bassi di un matrimonio ormai naufragato, una pace mai raggiunta per aver subito violenza da chi sosteneva di amarla e da chi avrebbe dovuto proteggere il suo diritto alla vita.

“Con denuncia del 30.11.2010 – afferma l’Avv. Vanessa Fallica in una nota – Lisa Siciliano specificando che il marito fosse un Carabiniere presso la Stazione Falde di Palermo manifestava tutta il suo terrore. Un omicidio-suicidio, scrivevano i giornalisti all’epoca dei fatti, sul quale rimaneva poco da capire per gli investigatori, poiché il D'Alba, che era originario di Valenzano nel Barese, avendo capito che il rapporto con la moglie era irrecuperabile, alla fine di una sua lettera si era rivolto anche alla madre scrivendo: «Perdonami, seppellitemi nella mia terra». Appare evidente che con questa lettera, il Carabiniere ha fornito tutte le indicazioni in merito al suo proposito, dimostrando che il tragico episodio non è stato un gesto dettato da un raptus o da un moto di rabbia improvviso, il Carabiniere aveva premeditato di uccidere la moglie, pianificando tutto nei minimi dettagli e finanche dopo la sua morte”.

“Quel tragico martedì sera del 07 febbraio del 2012, intorno alle 19 – prosegue l’Avv. Fallica - il D'Alba, costringendo la moglie ad aprirgli la porta, all’interno dell'alloggio di servizio della stazione dei Carabinieri dell'Acquasanta, decideva di porre fine a tutto. Pochi secondi. Uno sparo, un altro e un altro ancora e D' Alba, con la sua pistola metteva fine alla vita della moglie per poi puntare alla sua tempia l’arma che, con uno solo sparo, lo uccideva. Purtroppo, le storie di violenza domestica vengono spesso percepite come affari di cuori, ma quando questi “affari di cuori” diventano colpi di pistola ci si chiede, troppo tardi, lo Stato dov’è? E dove era quando poteva prevenire, proteggere e garantire il diritto alla vita di quelle donne? Di certo siamo di fronte ad una tragedia annunciata dove nessuno specifico provvedimento fu mai preso, e purtroppo, alla luce dei recenti fatti di cronaca, questa vicenda è indicativa di un fenomeno più ampio per il quale occorrerebbe prestare particolare attenzione per cercare di prevenirlo”.

“Si è avuto modo di verificare – conclude l’avvocata - che una parte considerevole dei femminicidi è compiuto da uomini in divisa (militari, forze dell’ordine e guardie giurate) con armi in dotazione per compiere la loro attività, cioè con armi d’ordinanza. Questo significa che la disponibilità dell’arma è un fattore che può contribuire in modo significativo all’attuazione di un progetto di femminicidio. Dunque, con riferimento alla fattispecie, è senz’altro riconducibile la responsabilità dell’Arma dei Carabinieri per omessa vigilanza di un soggetto che aveva manifestato chiari segni di malessere. Per le caratteristiche di conflittualità denunciate, per le ripetute violenze sulla moglie e per il temperamento particolare del Carabiniere, al D’Alba doveva essere disposto il ritiro cautelare dell’arma e comunque dovevano essere predisposte verifiche a cadenza regolare sullo stato psicologico di quest’ultimo. Ebbene per questa triste vicenda, portata avanti l’Autorità giudiziaria, alle piccole figlie rimaste orfane ed ai familiari è stato riservato un ulteriore dolore attraverso la parola “prescrizione” che a questo punto dovrebbe mettere tutti a tacere”.

Gli Avvocati Vanessa e Gabriele Fallica, che hanno già predisposto l’appello, “ritengono inaccettabile la circostanza che, quando ci sono di mezzo le Forze dell’Ordine, tutto debba essere risolto senza alcuna ricerca della verità”.

 

Articolo a cura di Lucia Ottavi

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