Ferite a morte

La solita storia. Come la trama di un dramma, già troppe volte ripetuto, una donna muore per mano di un compagno, di un marito che non accetta di essere lasciato. Una lista di nomi ormai lunghissima che attraversa il nostro Paese da Nord a Sud. Continuano a morire le donne, non solo per mano dei propri carnefici, ma anche per l’indifferenza e l’ipocrisia di una società che non vuole prendere atto che la violenza sulle donne rappresenta “un fatto sociale totale” che riguarda le strutture sociali profonde individuali e collettive.

Non avrei neanche voluto scriverle queste poche righe, tanta è la rabbia e il dolore che provo nel constatare che non si è fatto ancora abbastanza e bisogna andare oltre la retorica e lo sdegno del momento. Troppe falle, nell’informazione, nella prevenzione, nella giustizia, per una situazione che continua a crescere insieme al non rispetto dei diritti.

Clara Ceccarelli, Lidia Peschechera e Antonia Rattin uccise da un ex o da un marito in questo mese di febbraio non ancora terminato. Donne che avevano deciso di chiudere un rapporto, un matrimonio, oppure si sono trovate in balìa di un violento.  Donne uccise da uomini che confondono l’amore con il possesso, che si sentono padroni del corpo e della vita di una donna, completamente ineducati ai rapporti paritari e ai sentimenti. Sono davvero troppe le donne che continuano a sopportare violenze psicologiche, verbali, fisiche senza ribellarsi. Per questo occorrono investimenti, reale aiuto per le vittime che denunciano, impegno istituzionale, educativo sociale e individuale.

La violenza sulle donne è una grave violazione dei diritti umani e combatterla rappresenta una battaglia di civiltà.

 

Articolo a cura di Emerita Cretella

 

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