Sabato, 30 Gennaio 2021 10:56

Il vuoto sociale e culturale dei nostri tempi

Vero è che stiamo attraversando un periodo particolare, nonché particolarmente difficile e, lasciatemelo dire, di grande confusione, una confusione che in taluni casi sembra guidata o, forse meglio, sfruttata a piacimento per giustificare l'imperativo:

"Tu donna, tu femmina, avresti dovuto stare a casa!"

Queste parole non vengono dette soltanto da persone non scolarizzate, oppure da maschi nostalgici di un patriarcato di primo Novecento, il che sarebbe davvero terribile, ma vengono dette anche da donne, giovani donne degli anni duemila, il che è avvilente e devastante.

Come se questo non fosse già di per sé sufficiente, non è a una violenza sessuale che si riferiscono: in tal caso una sorta di storica abitudine ci porterebbe a una semplice alzata di occhi e un affranto e non mai rassegnato sospiro.

Quanto, purtroppo, siamo abituati a vedere vittime soffrire due, tre, centinaia di volte in più, grazie a un'opinione pubblica egoista, fredda, distaccata e inquisitoria? Talmente abituati da non farvi più caso, lasciamo passare indifferenti questi continui messaggi.

Mi riferisco ai casi di due donne che nei mesi scorsi hanno perso la vita in maniera assurda e, senza dubbio alcuno, per mano di meri criminali.

A Genova, lo scorso novembre, Gaia Morassuti, giovanissima, muore per le ferite riportate in un "incidente".

Colpevole! Decretano i benpensanti.

Fra i commenti: "Se fosse stata a casa, non sarebbe accaduto".

Complici le restrizioni anti-pandemia, a giustificazione di codesta società di borghesucci di ritorno, che nel terzo millennio, ritrovandosi senza cultura alcuna, riprende concetti di primo Novecento, recuperati da qualcuno che di tanto in tanto butta lì qualche frase neo-patriarcale. In sostanza vigeva in quel momento il cosiddetto "coprifuoco". Ma sono certa quelle frasi sarebbero state dette comunque.

In tutti i casi erano riferite solo a lei, alla ragazza, alla femmina; non certo all'uomo, giovane anch'egli, che guidava a folle velocità, anch'egli "indebitamente" fuori casa.

Negli stessi giorni, a Carignano nel torinese Barbara Gargano, una giovane mamma viene uccisa insieme ai suoi bambini e al cane, dal marito.

Inaccettabili i commenti dei suddetti borghesucci che, come accade con le vittime di violenza sessuale, hanno dissezionato la vita della donna, stabilito che era indimostrabile la sua "costumatezza", quindi se l'è cercata, non è stata in casa a sufficienza, non ha accolto il marito col sorriso come avrebbe dovuto, altrimenti quel pover'uomo non si sarebbe certo esasperato a tal punto.

In questi casi lo sconforto fa capolino e viene da domandarsi come sia possibile che una società così moderna, faccia propri idee e concetti di un secolo che credevamo di esserci ormai lasciati alle spalle con tutti i suoi orrori.

Un secolo, il Novecento, che ha prodotto oltre agli orrori anche una cultura, nonché personaggi, artisti e intellettuali di grande spessore e, si era creduto, di grande incisività.

Di contro l'enorme vuoto sociale e culturale dei nostri tempi viene ora colmato da qualcosa di vecchio, stantio e ammuffito, raccattato nell'immondizia del secolo scorso.

Non producendo nulla o quasi di buono oggi, lo si va a cercare altrove, nel vecchio Novecento fatto sì di orrori, ma anche di grandi ideali.

Fra gli uni e gli altri sono stati scelti gli orrori, senza un plausibile motivo, seguendo stimoli e direttive di nostalgiche "guide" che riescono a incanalare le popolane e pressoché analfabete frustrazioni, nel giudizio, nell'indifferenza, finanche nell'odio e nel disprezzo, inducendo le genti a combattere sostanzialmente contro sé stesse, con una bassezza che sembrava essere stata sconfitta.

Così riguardo allo sterminio di una famiglia siamo costretti a leggere: "più di tutto mi dispiace per il cane".

 

Articolo a cura di Stefania de Girolamo

 

 

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