
La Natività di Julio Padrino
Erano le 7:53 del 13 gennaio 1915 a San Benedetto dei Marsi, non era ancora giorno, l'aria era gelida, il silenzio era rotto di tanto in tanto dal latrato inquieto dei cani, dal nitrito dei cavalli che sbuffavano raspando la terra con gli zoccoli, il belato delle pecore, il muggito delle mucche, stranamente non erano versi che annunciavano il sorgere di un nuovo giorno, ma sembravano lamenti, il chicchirichi del gallo risuonava come un allarme, anche il profumo dolce del fumo dei camini accesi, era acre, nauseante, ripugnante come l'incenso che precede la benedizione dei morti. Marietta giunta al termine della sua gravidanza, dopo una notte insonne travagliata dalle doglie, sveglio suo marito, stava per nascere il loro primo figlio, era arrivato il momento di chiamare la "gnora Maria" la levatrice del paese. Peppino emozionato e agitato, si vestì frettolosamente e corse nella stalla, faticò molto per legare i finimenti al cavallo imbizzarrito ed attaccarlo al carretto per raggiungere Venere, dove l'ostetrica stava assistendo un altro parto. Marietta nel frattempo accese il fuoco per scaldare l'acqua, aprì il baule dove custodiva i vestitini e le copertine del nascituro, li prese e li strinse al petto con l'amore di una mamma che di lì a poco avrebbe abbracciato allo stesso modo suo figlio. Superata Via Romana, Peppino imboccò la via per la Restina, nervoso ed arrabbiato con il cavallo che si dimenava irrequieto, scuotendo la testa per liberarsi dalle briglie, l'uomo non capiva l'insolito comportamento dell'animale e continuava a frustarlo, impaziente di raggiungere la sua destinazione, mai il cavallo si era opposto ai suoi comandi, perché si stava ribellando in quel modo? Mentre si interrogava, all'improvviso si udì un boato risalire dalle viscere della terra che bolliva, un urlo spaventoso, un rombo cupo minaccioso al quale rispose quello delle montagne circostanti, impaurite, tremanti che vibrarono così forte da far temere che i cardini del mondo stessero per crollare. Il cavallo si sollevò terrorizzato, slanciò le zampe in aria, furioso strappò le redini, il carretto si rovesciò, Peppino fu scaraventato al suolo, impietrito alla vista della strada ondeggiante come il mare aprirsi in una voragine che inghiottì l'animale fuggito impazzito.
Per molto tempo non riuscì a vedere nient'altro, avvolto da una nube densa di polvere, chiuse gli occhi, quando li riaprì, nuvole bianche si levavano dai paesi vicini, i tetti rossi e i campanili che si ergevano orgogliosi e fieri come sentinelle nella pianura, erano spariti. Esterrefatto rimase a lungo immobile, stupefatto, incosciente, solo il pensiero di Marietta lo riportò alla realtà. La donna nell'attesa di suo marito, si era sdraiata sul letto, provata dalle contrazioni più frequenti e dolorose. Inaspettatamente, mentre si contorceva sofferente, il letto cominciò a tremare, il soffitto a muoversi, prima piano poi violentemente, le mura si aprirono, crollarono spaccate dall'ululato assordante della terra famelica di morte e distruzione. Marietta sbigottita, impaurita, agghiacciata per lo spavento perse conoscenza. Quando si rianimò, due travi scardinate disposte a croce, sostenevano come due giganti, il peso delle pareti accartocciate. Per Marietta quella croce simbolo della Cristianità, rappresentò la forza della fede a cui si aggrappò, disperata, per salvare se stessa ed il bimbo che aveva in grembo da quell'inferno irreale. Fu la croce a proteggerla, le travi incrociate, sormontate dalle macerie, formarono una capanna impedendo a Marietta di soffocare. La donna sopravvissuta sapeva che poteva morire da un momento all'altro, paralizzata dalla paura, con gli occhi pieni di lacrime urlò, chiamò più volte suo marito, invocò aiuto senza sapere se qualcuno là fuori poteva sentire le sue grida, le sue strazianti richieste d'aiuto. In preda al panico, completamente sola, sofferente per i dolori atroci del parto, non sapeva cosa fare per dare alla luce suo figlio. Sgomenta, atterrita pensò alla Madonna, anche lei aveva partorito in una capanna al freddo, al gelo, spaventata, consolata solo dalla fede in Dio, la Madonna che aveva patito le sue stesse pene non la poteva abbandonare, la pregò di assisterla, ne invocò la protezione ed istintivamente iniziò a spingere con una forza ed un coraggio che non sapeva di possedere, fino a quando il pianto di suo figlio sciolse il cuore pietrificato dal terrore. Marietta lo abbracciò, era un maschietto, lo avvolse con le sue braccia, lo scaldò con il suo corpo, nascondendogli l'orrore che li circondava. Prese il lenzuolo impolverato e coperto di calcinacci, delicatamente lo asciugò, lo avvolse, prese la coperta ed ammantò se stessa ed il bimbo e con naturalezza lo attaccò al seno. Cullando suo figlio, rassicurandolo con il canto della ninna nanna, si stupì nella consapevolezza che in quell'inferno lei stava vivendo il momento più bello della sua vita.
Le ore passavano, Peppino correva, fuori di sé, verso casa, non aveva più fiato, trascinava le gambe, sapeva che non poteva fermarsi, man mano che si avvicinava lo scenario squallido e spettrale a cui assisteva lo tormentava, avvilito da angoscia e orrore, timoroso di aver perso Marietta, giunse al paese. Ovunque cumuli di pietre e laterizi, macerie ammassate, pochi secondi di inaudita violenza avevano cancellato tutto, di San Benedetto non era rimasto più nulla, solo mura smozzicate, non si distinguevano le strade, tutto appariva spianato, uniforme. Nel denso polverone grigio dei calcinacci si aggiravano come spettri, pochi superstiti, sbandati come automi, sfiniti, vinti dal dolore, inebetiti, come se si fossero ridestati da un incubo terribile, sporchi di fango, di sangue, feriti, con gli occhi fissi spalancati, il viso polveroso solcato dalle lacrime. Dalle macerie echeggiavano i lamenti dei sepolti che supplicavano aiuto, i rantoli degli agonizzanti, quelle voci disperate lo accoravano, lo affliggevano, impotente crollò, le sue ginocchia si piegarono, si sdraiò, prese a pugni la terra, la strinse tra le mani come se volesse annientarne la rabbia devastatrice.

Quando si risollevò, vinto, abbattuto da quell'immane catastrofe, il suo sguardo si posò sul frammento di un muro, dove in una piccola nicchietta, una Madonna dritta, integra, con le braccia aperte come se volesse accoglierlo e confortarlo, lo invitava a farsi coraggio, a sperare che Marietta fosse ancora viva. La Madonna non lo poteva illudere, non lo poteva tradire, lei che non aveva potuto dare una degna dimora a suo figlio non avrebbe abbandonato Marietta nella stessa condizione, ma avrebbe vegliato su di lei. Fiducioso si mise in cerca di sua moglie, sicuramente viva e bisognosa d'aiuto. Scrutò intorno, in lontananza si ergeva imponente la facciata della cattedrale di Santa Sabina, completamente crollata, ma quella facciata intatta nei suoi decori e nei suoi fregi, resistita alla distruzione, manteneva la dignità e la fierezza di sempre, testimoniava la vittoria della chiesa sulla violenza demoniaca. Sia la Madonna sia la chiesa avevano sconfitto miracolosamente quella forza distruttrice, confermando che il bene prevale sempre sul male. Questo pensò Peppino e ritemprato dalla fede, barcollando tra i grossi massi si diresse verso casa. Per l'uomo fu difficilissimo procedere, più volte cadde, si ferì, si mise carponi, si aggrappò alle travi cadute, ai monconi di muro, come se stesse scalando una montagna, strisciava tra le rovine, con il cuore straziato dalle urla, dalle invocazioni rauche, strozzate, imploranti che provenivano dalle profondità della terra. Di molti aveva riconosciuto la voce, erano amici, conoscenti, parenti, avrebbe voluto essere un gigante per spazzare tutto con le mani, ma non poteva. La vista dei corpi dilaniati, schiacciati, buttati a caso come fazzoletti trasportati dal vento, lo straziava, era rabbioso per la sua impotenza, era inerme davanti a quelle vite spente, perché la natura aveva distrutto ciò che aveva partorito? Perché aveva realizzato quel massacro, come una mamma omicida dei suoi figli?
Marietta è viva, Marietta è viva, Marietta è viva, Marietta è viva, ripeteva ritmicamente per andare avanti esausto, mentre il suo corpo lacerato come le mura frantumate, avrebbe voluto accasciarsi a terra. Procedeva disorientato, cercando particolari familiari che lo aiutassero a capire la sua posizione, era vicinissimo a casa sua, lo sapeva, ma non c'era più e, soprattutto, non c'era Marietta, perché? Dov'era? In quel momento immagino ciò che la sua mente aveva sempre rifiutato, forse sua moglie era sotto le macerie, forse era morta...morta...morta... Quel pensiero gli rimbombava nella mente, lo martellava, la sua testa stava scoppiando, il suo sangue si gelò, il suo cuore si fermò, rabbrividì, il respiro si soffocò, rimase in piedi fino a quando tra i calcinacci vide una camicia da notte. In quell'istante le sue gambe tremarono, si svuotarono e flosce si inginocchiarono. Raccolse quella veste, vi nascose il viso per soffocare il suo incontenibile dolore, l'odore di Marietta era ancora vivo, le sue lacrime bagnarono la polvere grigia che macchiava ormai sgualcita la camicia di Marietta, l'aveva indossata quella notte e lui l'aveva teneramente abbracciata immaginando il momento felice che stava arrivando. Straziato, allargo delicatamente la veste a terra, come se volesse rivedere Marietta distesa nel letto, la cinse, come se quella notte non fosse mai finita, come se quel giorno non fosse mai arrivato. Quel giorno che sorgendo non aveva portato la luce ma con ira furiosa aveva calato ovunque il buio tenebroso della morte. In quel momento implorò la morte a Dio, perché continuare a vivere? Abbandonato, distratto, immobile, rimase a lungo smarrito, indifferente a ciò che aveva intorno, la sua esistenza non aveva più senso.
Quando tutto per lui era finito, un pianto vivace misto a gemiti lo scosse, sorpreso si destò, non erano lamenti sofferenti, ma era la voce di una nuova vita, ignara, inconsapevole di quell'orrore, vivace, risuonava nel silenzio accompagnata da una dolce nenia, lui conosceva quel suono amorevole, era Marietta, Marietta era viva, viva, viva, suo figlio era nato, stava bene. Il suo cuore ricominciò a battere, in pochi secondi passò dalla disperazione assoluta alla gioia infinita. Rinvigorito cominciò a scavare come un forsennato con le mani, raspando con le unghie la calce ormai polvere, urlando il nome di sua moglie. Non appena la donna ebbe udito la voce di suo marito, scoppiò in un pianto a dirotto, ora che c'era Peppino poteva crollare, poteva sfogare stanca la sua fragilità, non era più sola a difendere il loro bambino, lui li avrebbe protetti, li avrebbe salvati, liberandoli da quell'oscurità opprimente, irrespirabile, soffocante, gelida. Pianse di gioia, stupita, incredula, speranzosa di una salvezza per lei fino ad allora impossibile. Peppino frenetico, spostava i grossi massi, le tegole, le travi spezzate, con l'impeto e la bramosia di chi sta per scoprire un tesoro inestimabile, aveva tamponato le sue mani sanguinanti con le sue calze, ma la forza delle braccia era fiaccata dal dolore cocente e lancinante di ogni presa. Sudato nonostante l'aria ghiacciata, trafitto dal vento dispettoso e gelido che spirava sollevando le rovinose polveri, come fossero l'ultimo respiro esalato dalla terra nell'aria fumosa e grigia, Peppino scorse in lontananza la sagoma di un uomo, avanzava lentamente, tentennando, con il capo chino, stretto tra le spalle curve, sconfitto, stringeva tra le braccia un fagotto, si avvicinò, giunto davanti a lui s'inginocchiò, protese le sue braccia, mostrando un piccolo, pallido, freddo, esanime, suo figlio, avvolto in una giacca nera, luttuosa. L'uomo era suo fratello, sollevò il capo, aveva il volto irrigidito dalla follia come una maschera raccapricciante, i suoi occhi vitrei, sbarrati, pietosi, fissarono Peppino, non proferì parola, nel silenzio descrisse la tragedia della sua famiglia rapita dalla morte. I due si abbracciarono, muti per un po', interrogandosi sulla ragione di quella furia omicida, di quell'atrocità che non aveva risparmiato nessuno, nemmeno i bambini. L'uomo depose suo figlio, lo ammantò teneramente e sommessamente ripresero a scavare.
Le ore trascorrevano impercettibili, la sera si confuse nella nebbia, scese la notte, punteggiata da fuochi solitari come lumi in un cimitero. Il buio nascose alla vista quella triste desolazione, ma le implorazioni delle povere anime, dannate, sepolte, ancora più vive nell'immobilità della notte, tormentavano i due, distanti si udivano gli ululati dei lupi affamati, richiamati dalla carne morta, ancora calda, non sapevano se sarebbero sopravvissuti al gelo, quello doveva essere l'inferno, nulla poteva essere più spaventoso. Marietta ed il bimbo tacquero, forse si erano addormentati. La notte trascorse insonne, Peppino si struggeva al pensiero della sua famiglia, non aveva un piccone, un martello, non aveva aiuto, solo suo fratello, dov'era lo Stato? Dove l'esercito? Forse tutta l'Italia era stata risucchiata nel ventre della terra? Mille domande, nessuna risposta, l'unica certezza era quella realtà infernale. Nella foschia dell'alba un nuovo giorno iniziò, Peppino e suo fratello irrigiditi dal freddo faticarono a destarsi come se i loro corpi fossero paralizzati, lentamente ripresero a scavare, per ore spostarono macerie ma ora erano impediti, le due pareti adagiate sulle travi che avevano protetto Marietta, ingabbiandola in una capanna, formavano una barriera inaccessibile. Come potevano rompere quelle mura resistite alla forza travolgente della natura con la sola forza delle mani? Peppino si arrese, furibondo, pazzo, fuori di sé, si gettò a terra e per la seconda volta la prese a pugni, la voleva punire, la voleva ferire, voleva ripagarla con la stessa sofferenza.
All'improvviso come se la terra si stesse ribellando a quella ripetuta, violenta offesa, un nuovo boato, un tuono cupo sotterraneo, vibrò brutalmente, nessuno poteva opporsi a quel disegno demoniaco, inferse l'ultimo colpo ai monconi di case rimaste in piedi, polverizzò tutto, ne disperse i frantumi come se stesse spargendo le ceneri di un corpo definitivamente morto. Slogata la sua ira, la terra si placò, l'aria divenne nuovamente limpida, Peppino, ancora vivo, intontito, confuso, udì la voce di Marietta, lo chiamava, le sue parole non erano distanti, accorate, ovattate, le sentiva vicine; frastornato pensò di averle immaginate, Marietta era già sepolta, non poteva essere sopravvissuta a quella furia. Si voltò, le mura che lo avevano diviso dalla sua donna, si erano sgretolate, una larga fessura si era aperta. Forse Marietta era viva veramente. Rincuorato, carponi sali sulle macerie, scivolando sulle pietre che rotolavano, si avvicinò alla cavità, vi infilò il viso, ciò che vide lo lasciò incredulo, non assisteva ad una scena di dolore, di terrore di sofferenza, al contrario, Marietta adagiata sul letto, avvolta dalla coperta, materna, tenera, con suo figlio stretto al petto, illuminata e baciata dalla luce che filtrava dalla fessura, sembrava un'icona, una Madonna rassicurante e consolatrice. Quanta sacralità in quella grotta, quale miracolo? La sua donna illesa, suo figlio vigoroso e sano, in quella nicchia, al riparo da ogni pericolo, ignari dell'inferno al di fuori, testimoniavano il trionfo dell'amore di Dio sul male, Dio che prevale sull'opera devastante demoniaca. Quel bimbo nato nel tremore violento della terra scossa nelle viscere, sopravvissuto al gelo, simboleggiava la vittoria della vita sulla morte.

A Betlemme era nato il salvatore dei popoli, in quella grotta era nata la Speranza, la consapevolezza della rinascita sulla distruzione fiduciosi dell'aiuto di Dio. Quel bimbo era stato salvato, scelto da Dio per coltivare il seme della vita in una terra inaridita dalla morte e dalla devastazione, IL NATALE DEL 13 GENNAIO 1915. Peppino si avvicinò a Maria esitò ad abbracciare lei e suo figlio, come se fosse indegno di stringere le due figure celestiali, ma Marietta apri le sue braccia, lo cinse insieme al loro bimbo. Non avevano nulla eppure avevano tutto, avevano l'amore, la famiglia, la fede. Insieme uscirono, suo fratello prese il bimbo, lo avvicinò al cuore come fosse suo figlio, il suo volto si rilassò, si distese, sorrise, lui che aveva desiderato di morire con i suoi cari, ora sapeva perché era sopravvissuto...per ricominciare, per la rinascita. In poco tempo intorno alla grotta si raccolsero i pochi superstiti, informati del miracolo, erano accorsi per onorare quel bimbo, simbolo della potenza di Dio, portando in dono coperte, mele, acqua, recuperate tra le rovine. Fu proprio così, con la tenacia, la fierezza, la capacità di lottare che da sempre caratterizzano il popolo dei Marsi, la vita è germogliata in una terra sterile bagnata e resa fertile con le lacrime del suo popolo. La Marsica è risorta più forte, più solida, più fiera di prima. Non saremmo ciò che siamo senza il nostro passato.
Racconto a cura di Erika D'Orazio
