Martedì, 22 Dicembre 2020 17:53

Covid: In trincea come i ''Ragazzi del ‘99''

In tutti questi mesi che il mio ruolo e la mia specializzazione mi hanno portato a confrontarmi con il virus Sars-Cov 2 e soprattutto ora che la sorte ha voluto che mi ritrovassi anche nella condizione di “paziente”, molto spesso guardando i giovani infermieri e medici che frettolosamente venivano reclutati dalle nostre AA.SS.LL. per rimpinguare gli organici che decenni di tagli lineari e piani di rientro avevano falcidiato, mi sono venuti in mente i “ragazzi del ‘99”.

Questa, durante la Prima Guerra Mondiale, era la denominazione data ai coscritti negli elenchi di leva che nel 1917 compivano diciotto anni e che pertanto potevano essere impiegati sul campo di battaglia. Furono precettati quando non avevano ancora compiuto diciotto anni. I primi ragazzi del 1899 furono inviati al fronte nel novembre del 1917, nei giorni successivi alla battaglia di Caporetto. Il loro apporto, unito all'esperienza dei veterani, si dimostrò fondamentale per gli esiti della guerra. In un momento di gravissima crisi per l'Italia e per l’ Esercito, rinsaldarono le file sul Piave, sul monte Grappa e sul Montello, permettendo al Regno la controffensiva nel 1918 a un anno esatto da Caporetto con la battaglia di Vittorio Veneto e quindi la resa dell'Austria-Ungheria. Il Generale Armando Diaz, capo supremo dell’Esercito Italiano ne salutò con parole alate il battesimo del fuoco: “I giovani soldati della Classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. … In quest'ora suprema io voglio che l'Esercito sappia che i nostri giovani fratelli della Classe 1899 hanno mostrato d'essere degni del retaggio di gloria che su loro discende. Zona di guerra, 18 novembre 1917 - Il Capo di S.M. dell'Esercito A. Diaz”.

Allo stesso modo io ho visto tutti i giovani medici e infermieri, che nell’ora dell’emergenza sono stati frettolosamente reclutati con vari e vaghi metodi di selezione e spinti in prima linea a combattere contro questo maledetto e mortifero virus; i quali per forza di cose hanno imparato sul campo, dai colleghi più anziani, come si dovevano trattare i pazienti delle Terapie Intensive e sub-intesive, con quali armi, quali metodi, ma anche come proteggersi dal virus, come vestirsi con i dispositivi di protezione individuale, come svestirsi da essi senza contaminarsi, come sopportare un turno di sei e passa ore chiusi in quegli scafandri. Li ho visti soprattutto quando ero diventato un paziente, accostarsi a noi sempre con il sorriso sulle labbra, sempre con garbo e premura, dall’inizio alla fine del turno, senza mai un attimo, almeno non in nostra presenza, di cedimento fisico e morale.

Perciò per me loro sono i “RAGAZZI DEL ’99” di questa pandemia alla quale tutta l’Italia deve dire GRAZIE possibilmente in standing ovation.

 

Articolo a cura del Dr. Marco Ingrosso

 

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