Lunedì, 30 Novembre 2020 09:38

Lui era mio fratello

Tre anni e mezzo

Prima di allora ovviamente il buio, ma il primo raggio di luce della mia memoria è "dolore"

 

Marzo 1963

 

Prima di mio fratello il vuoto, umanamente sarebbe impossibile il contrario. Avevo solo tre anni e mezzo quando è morto, negandomi il sorriso dei miei genitori. Vito aveva 8 anni.  Non ricordo una bambina infelice, perché non mi ricordo mai da sola. Solo adesso mi rendo conto di quanto aleggiasse il dolore per la sua assenza e il peso della sua immaginata presenza.

Unica femmina fra due fratelli abbastanza vivaci.

E la loro bottiglia di plastica rossa. Arma di gioco e di vendetta. La riempivano di acqua e giù a bagnare chi sfortunatamente passava per strada sotto il balcone.

Anche loro, gente vista attraverso un solo sguardo, ha fatto parte della mia vita, anche solo passando per caso.

Viziata e piagnona, quel giorno, come da copione, urlai fino allo sfinimento non tanto perché desiderassi mio fratello Vito a casa a giocare con me, ma perché avrei voluto  corrergli dietro e farmi portar fuori ai giardini.

Smisi dietro la promessa di una bambolina al suo ritorno.

Ma non ritornò.

Doveva andare da mio padre ma la sua voglia di disubbidire per sentirsi già grande lo condusse, insieme ai suoi piccoli amici, ad una scatenata partita di pallone.

“Squadra che perde paga pegno e finiamo l’album di figurine”, così complottavano insieme i miei fratelli. E io fra di loro persa di felicità fra morsi e baci.

Non tornò.

Io avevo smesso di piangere e attaccata all’inferriata lo guardai andar via sbracciandomi per salutarlo.

Prima di svoltare e di sparire dalla mia vista e dalle nostre vite, si volse verso di me, mi salutava e mi faceva le linguacce.

E poi sparì. E con lui i sorrisi di mia madre e di mio padre.

Uno stridio di freni e la sua vita si è fermata mentre cercava di attraversare la strada per recuperare il suo pallone.

 

Fui condotta all'obitorio.

 

Lo ricordo come una stanza tetra e puzzolente.  Era il profumo dei fiori. Quell’odore lo sento tutte le volte che vado ai funerali. E’ strano, ho l’impressione che qualsiasi fiore, anche quello dal profumo migliore, cambia il suo odore quando omaggia un defunto.

 

Tutti piangevano e accarezzavano quel ragazzino che dormiva.

Non lo riconobbi, ovviamente, aveva il viso graffiato. Mi chiedevano di dare l'ultimo bacio al mio fratellino. Mi apparivano tutti un po' matti e pensavo di dover mantenere un segreto, perché io sapevo che lui era andato a comprarmi la bambolina, e mi rifiutai di baciare quel bambino tutto graffiato. Lo aspettai per giorni e giorni, fino a quando, crescendo, cominciai a capire cos'era la morte e con essa il dolore dell’assenza.

Diciassette anni dopo, mentre passeggiavo, il cuore mi si è fermato.

Eccola!

Triste e malconcia fra rifiuti e vetri rotti, buttata via con indifferenza dopo aver allietato l'infanzia di qualche sconosciuta bambina. L'avevo ritrovata la mia bambolina di pezza, con il vestitino rosso. Ne sono sicura, mio fratello l'aveva già comprata quando decise di andare con i suoi amici a giocare a pallone e l'aveva poggiata lì sul muretto per riprenderla poi alla fine della partita.

Qualcuno però lo ha ucciso.

Mi sono chinata lentamente a raccogliere quella bambolina di pezza che giaceva a pancia in giù e sul suo vestitino rosso era ricamata una D.

 

Chissà quali braccia l'avevano stretta per milioni di notti!

 

Quel volto graffiato e tumefatto, di quel ragazzino che non riconobbi, oggi lo ricordo come un rimorso che mi attanaglia il cuore. Diana Impennato

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