Venerdì, 27 Novembre 2020 17:38

Pensieri in libertà di una donna chirurga

Da tanto tempo mi occupo di accogliere donne che subiscono ingiurie di qualsiasi tipo ed approdano lì, dove lavoro, in pronto soccorso. Ne ho viste davvero tante, troppe; anche una sarebbe un’esagerazione, ma qui i numeri sono di quelli che fanno tremare i polsi.

E quante storie mi sono state raccontate, Steven King troverebbe davvero materiale originale per i suoi libri horror, cose che neppure la sua smisurata fantasia ha saputo anche solo pensare. Solo che qui non è immaginazione, purtroppo, è la narrazione quotidiana di donne che si sono trovate incatenate in relazioni violente e mortifere.

Qualcuna non ce l’ha fatta, e piango queste sorelle, la società non è stata in grado di proteggerle. Fortunatamente la maggior parte delle persone che a noi si rivolgono, con l’aiuto dell’intera rete, riesce a voltare pagina e riprendersi la propria vita tra le mani. Vittima è una condizione transitoria non è una condanna eterna: uscire dal ciclo della violenza si può e si deve. Lo si deve soprattutto a se stesse, alla propria dignità, imparando ad amarsi e lo si deve anche per i figli, qualora ci fossero in una coppia ed anche a tutte quelle sorelle sconosciute che in questo momento, chiuse tra le quattro mura domestiche, subiscono l’indicibile in nome di un sbandierato “Amore”, che amore proprio non è.

La narrazione romantica ha generato da sempre un enorme malinteso colpevole, maschilista, che vuole le proprie eroine struggersi sino ad immolarsi, annientarsi psicologicamente ma anche fisicamente in nome dell’amore. Gli occidentali guardano con schifo malcelato, con superbia le culture altrui: giustamente si sono indignati osservando l’atroce pratica del Sati in India attiva sino al 1960, ma non si comportano in modo diverso ad oggi, qui, con le loro partner. Così umiliano, brutalizzano ed uccidono le donne che avevano giurato di amare. Tante ne ho sentite in questi lunghi venti anni, troppe davvero per la mia povera mente. Spesso mi sono trovata con gli occhi umidi nel tentativo di trattenere le lacrime di fronte lo scempio che osservavo: sul corpo certo, ma anche nell’anima.

In questi giorni in tanti si ricordano del 25 novembre e mi cercano, vorrebbero sapere direttamente da me che faccio questo mestiere cosa è cambiato con la pandemia in corso.

Non so che sentimenti avere di fronte a tali istanze. Mi verrebbe da dire: nulla, non è cambiato nulla. Il fenomeno solo si è trasformato, è più subdolo ed insidioso. Le donne ancor di più sono murate vive in casa alla mercé dei loro aguzzini, i bambini inermi assistono all’atroce spettacolo del papà che lacera a parole e fatti la propria mamma. Questo viscido e schifoso fenomeno si è fatto più segreto, meno visibile ma è lì immutato anzi più forte. Gode del silenzio omertoso di chi sa e non interviene. Cosa è cambiato in tempo di covid? Il 25 e il 26 novembre 2020 tre donne sono state brutalmente assassinate. Cosa è cambiato rispetto al dicembre 2019 quando tutti gioiosamente ci apprestavamo a brindare all’anno nuovo? 94 le vittime di femminicidio nel 2019,217 nel 2018,107 nel 2017 e via via si possono sciorinare numeri a volontà. La battaglia dei numeri, già. Ma quali sono i numeri veri? Qual è il fenomeno quanto diffuso? La verità è che nessuno lo sa con precisione, ancora difficile la raccolta di questi dati, troppe le donne che hanno paura e tacciono cosa patiscono. C’è controversia anche sulla tipologia: di fronte all’omicidio di una donna ove il movente dell’assassino è di annullare un altro essere umano solo perché donna, perché si sente superiore, si sente legittimato da una cultura patriarcale a dover insegnare, correggere, punire una donna. Soprattutto se questa è la “sua donna” e anela alla libertà e vuole liberarsi da quel capestro che si chiama matrimonio. 

 

Articolo a cura della Dr.ssa Maria Grazia Vantadori, chirurga del Pronto Soccorso dell'ospedale San Carlo Borromeo di Milano

Console Debug Joomla!

Sessione

Informazioni profilo

Utilizzo memoria

Query Database