Una società malata

A noi tutti addolora la drammatica cronaca dell'ennesimo assassinio; di quello specifico omicidio che, a cadenza regolare, coinvolge una relazione, terminata o ancora in essere, tra una donna ed un uomo: il femminicidio. Relazione definita d'amore ma che, di amore, in realtà, non si trattava affatto poiché questo, quello autentico, desidera sempre e comunque il bene dell'altro. Indipendentemente da come vadano le cose. Tra noi, persone comuni, vi è naturalmente chi, per una maggior sensibilità o per cultura (o per entrambi i fattori) viene maggiormente e significativamente toccato da tali tragedie. Tra i professionisti deputati a tutelare chi è a maggior rischio di subire un crimine sottolineo la loro presenza/assenza e, di conseguenza, considerando appunto come vanno le cose, la sfiducia che, sempre più donne, avvertono nella denuncia alle autorità, di parole e di comportamenti, quando non di veri e propri abusi da parte di coloro, mariti e compagni assai spesso, che perpetrano sistematicamente tali atti. Perché non c'è più fiducia? Risposta semplice: centinaia e centinaia di tali procedimenti che giungono in tribunale vedono quasi sempre la vittima diventare la responsabile e, se sono presenti minori, vengono sottratti alla madre od esposti alla frequentazione di padri violenti. Questa è l'amara realtà vissuta da quasi tutte le donne a cui, sostanzialmente, viene negato il diritto alla tutela. Nel rapporto tra le due persone in conflitto inoltre si verifica, come nel dramma di Marina, la negazione del diritto di scelta: a Roma infatti è stato il rifiuto della giovane donna a riprendere la relazione, da lei interrotta, a portare l'omicida a recidere il diritto alla Vita stessa. Quello che non si può non notare e quindi non considerare, in questo ennesimo femminicidio, è stata la completa assenza di un qualsiasi aiuto affinché la situazione non degenerasse: la mancanza, da parte delle persone presenti di quell'umana attenzione, quell'umano interesse che ti fa muovere verso una persona in evidente difficoltà. Questo "lavarsene le mani", al punto che i due sono stati mandati fuori dal locale, è per me talmente assurdo che, anche ora che ne sto scrivendo, rabbrividisco di sdegno. È una società malata quella in cui prevale l'indifferenza e sono denominati "eroi" coloro, pochi in realtà, che intervengono a supporto di persone in una determinata, difficile o anche rischiosa situazione. Sono ben consapevole che la gran maggioranza di noi, persone comuni, non farebbe del male ad una mosca; tuttavia questa indifferenza, che si traduce in inerzia, più precisamente inazione, così diffusa, sottintende una carenza reale di umana solidarietà e che, per questo, sia aberrante. La sperimentiamo ogni giorno, dalle situazioni più ordinarie a quelle più rilevanti ed insolite. Una società che si definisce progredita e che agisce così rivela invece un preoccupante livello di inciviltà. Nel nome di una simile società non saranno mai sufficienti le scuse per Marina, creatura mortalmente ferita. Mi auguro che le coscienze individuali e, se mai esiste, la coscienza sociale si pongano sulla strada di possibili, se voluti, cambiamenti.

 

Articolo a cura di Daniela Minozzi

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