Di vita e di morte al tempo del Covid-19. Il racconto del Dr. Ingrosso

Una frase, alquanto improvvida, di un Presidente di Regione ha acceso di nuovo un cono di luce sui decessi degli anziani a causa del virus responsabile di questa pandemia. La maggior parte di chi ci ha fatto caso, nella moltitudine di notizie che affollano i media, ha storto la bocca e manifestato sincera riprovazione. Altri, pur criticando, hanno ricordato che il sacrificio degli anziani fossero comuni nelle società primitive e nel mondo antico, specie in epoca di penuria di risorse. E’ del tutto evidente che nulla del genere può essere associato a quanto accade ora, che contiamo casi nell’ordine di decine di migliaia, e soprattutto accadde durante la prima fase della pandemia negli ospedali del nord Italia, quando la scarsità di risorse materiali, ventilatori, maschere e caschi per l’assistenza respiratoria e perfino letti, rispetto alla enorme richiesta che invadeva i reparti, ha posto i medici costretti ad affrontarla e subirla, innanzi al dilemma lacerante su chi privilegiare in quei momenti e spesso, giustamente, si è dovuto scegliere chi aveva maggiori opportunità di giovarsene. Non c’è scandalo in questo, si chiama TRIAGE ed è una pratica di selezione di priorità in uso in ambito medico quando la richiesta di assistenza è molto maggiore della possibilità di risposta. Viene utilizzata normalmente nei Pronto soccorso per stabilire la priorità di accesso alle cure, ma anche nelle grandi catastrofi e sui campi di battaglia: la precedenza va a chi ha speranza di sopravvivenza, a chi non la ha si fa in modo di alleviare la sofferenza, anche quella della solitudine nel momento del trapasso.

C’è anche un’altra sofferenza che ci tocca curare ed è quella dei familiari stretti, mogli, mariti, figli e figlie, che perdono il contatto con i loro congiunti, quando questi varcano la soglia delle Terapie Intensive, e da quel momento pendono dalle labbra dei medici, che danno loro le notizie sull’andamento clinico. In quei momenti, non c’è età avanzata e patologie invalidanti e preesistenti che tengano, sono sempre padri, madri e congiunti stretti che lottano contro la morte e non si vorrebbe mai lasciarli andare. Il concetto di accanimento terapeutico, ormai ben delineato da pronunce del Comitato Nazionale di Bioetica e perfino da dichiarazioni di Papi (uno di loro chiese addirittura che gli fosse concesso di morire per interrompere le sue sofferenze), sembra non avere diritto di asilo nelle nostre Terapie Intensive. La conseguenza diretta è che diversi posti di terapia intensiva e sub intensiva sono occupati da pazienti molto anziani, talvolta dementi o non coscienti, spesso provenienti da RSA, perché i loro congiunti non potevano assisterli in casa, oppure da persone con patologie all’ultimo stadio, alle quali il virus ha devastato il precario equilibrio, mentre nelle ambulanze in attesa davanti ai Pronto Soccorso, ci sono pazienti dal fiato corto, attaccati all’ossigeno, in attesa di uno di quei letti.

Mi sono chiesto più volte cosa ci fosse dietro questa spasmodica richiesta di “fare tutto il possibile” da parte dei familiari: l’ignoranza che in Medicina certi miracoli non esistono? L’egoismo di non voler recidere il filo che li collega al loro congiunto, non riconoscendo che in ciò c’è solo il prolungamento di un’agonia, allontanando il momento di un’inevitabile distacco? O, talvolta addirittura l’interesse finanziario per la cessazione di un sussidio? Non ho mai una risposta definitiva mentre vedo corpi la cui anima se n’è andata da tempo, disfarsi un poco alla volta, mentre cerchiamo inutilmente di trattenerli in vita, oltre ogni ragionevole limite, spesso sotto minaccia del contenzioso medico legale. Ma tutto questo non è conseguenza della attuale pandemia, accadeva anche prima di essa. Le cronache passate sono piene di episodi di peregrinazioni tra ospedali alla vana ricerca di un posto letto. L’epoca del Covid-19 ha solo dato ribalta a questa tragedia, oltre a togliere a noi medici la possibilità di parlare con i parenti, guardandoli negli occhi, per cercare di far loro comprendere quanto siano vani certi trattamenti e quanta sofferenza causino ai loro cari anche se sono incoscienti, ma, soprattutto, quanta speranza di sopravvivenza tolgono a chi ne avrebbe invece abbastanza se solo potessero accedere a cure avanzate, ma questo non possiamo nemmeno dirlo e invece ci sarebbe tanto da dire., senza steccati ideologici.

 

Articolo a cura del Dr. Marco Ingrosso, Direttore UOSD Anestesia e Rianimazione, Ospedale Covid-19 di Scafati (SA)

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