Luna Rossa (Episodio 18)

“Giacomo…” mormorò Maddalena con la voce rotta dal pianto.

“Amore mio, mi dispiace davvero tanto per Agatina, ma forse le sue sofferenze sono finite, pensa a questo” rispose Giacomo.

“Lo so, ma non è soltanto questa la ragione: si tratta della mia vita, della morte di mia madre e di quello che ho visto e rimosso, la sofferenza che mi ha fatto compagnia finora, la convinzione di essere sbagliata, non meritevole di amore, la mia paura, la mia solitudine, mio padre che…”. Singhiozzava forte Maddalena, non riuscendo più a descrivere con le parole quella sofferenza che l’avvolgeva come un’ondata di lacrime di sale.

“Vuoi che ti raggiunga?”

“No, Giacomo, grazie. I conti con il mio passato devo farli da sola una volta per tutte. Per me, per noi, ti amo tanto”.

“Capisco, sarò qui ad aspettarti e se hai bisogno di me, ci sono. Ti amo anch’io”.

Il piccolo cimitero si trovava appena fuori dal paese e Agatina fu sepolta vicino a una pianta di rose rosse selvatiche che tappezzavano anche il muro vicino, oltre il quale lo sguardo si apriva verso il mare in lontananza.

“Addio Agatina, ti ringrazio per il tuo affetto e per quello che mi hai restituito” disse dentro di sé. Abbracciò Santa e si diresse verso Catania. Aveva chiamato zia Rosina per informarla della morte di Agatina e che sarebbe andata da lei il giorno dopo prima di ripartire, questa volta incurante delle lamentele della donna che l’accusava di indifferenza nei suoi confronti.

“Zia, ci vediamo domani e parliamo, oggi vado a trovare papà”.

Per la prima volta Maddalena non si era sentita in colpa e neanche una “cattiva figghia ingrata” con cui era stata apostrofata da Rosina tutte le volte in cui si era ribellata o aveva esternato le proprie esigenze. Obbedire a costo di sacrificare se stessa al padre, alla zia, alle monache e quella perfezione che si era sempre sforzata di raggiungere per essere considerata e accettata era stata una maschera che aveva portato, negando i propri sentimenti per non sentire quel dolore atroce che l’aveva colpita troppo piccola per poterlo sopportare. Ma l’angoscia no, quella non l’aveva mai abbandonata e quel sogno ricorrente, che dietro il paesaggio di una fiaba nascondeva il dramma di una bambina che ha assistito alla morte della madre per colpa di un padre trasformatosi in un orco. Alfio Lipari, stimato professionista, politico, uomo disponibile, gentile con tutti, in realtà aveva ucciso sua moglie lentamente, e senza pietà. Quella notte per un motivo futile ha preso a maltrattarla non pensando neanche a sua figlia, strappata con violenza da sua madre e sbattuta fuori come un oggetto. Poi, posseduto dalla sua furia e dal suo odio verso Elena, l’ha spinta e l’ha uccisa definitivamente. Chissà se aveva mai provato un briciolo di rimorso in tutti quegli anni, si domandava, pur sapendo che ormai non avrebbe potuto più risponderle. Maddalena arrivò all’istituto dove era ricoverato il padre nel pomeriggio. La costruzione dei primi del Novecento si trovava dentro un grande parco e nello spiazzo, davanti al portone d’ingresso, una grande aiuola di tulipani gialli e rossi. La struttura, tra le migliori in Sicilia, accoglieva non autosufficienti e malati di Alzheimer. Suo padre si trovava lì da ormai cinque anni, da quando la malattia, che aveva avuto un decorso rapidissimo, aveva reso necessaria un’assistenza continua. Ormai non ricordava niente e a volte era aggressivo, oppure urlava senza alcun motivo a qualcosa o qualcuno che vedeva soltanto lui. Alla reception le dissero che si trovava nel parco con l’operatore che si occupava di lui durante il giorno, in uno spazio poco distante. Alfio era seduto su una panchina, immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto e la testa bianca piegata da un lato.

“Hai visto chi è venuta a trovarti? Tua figlia Maddalena” disse l’operatore, ma Alfio rimase immobile con le braccia incrociate.

“Vi lascio soli se vuole” disse l’uomo rivolto a Maddalena, “se ha bisogno sono in quelle panchine di fronte”.

“Perché lo hai fatto, perché?” chiese Maddalena al padre guardandolo negli occhi. “Perché la odiavi così tanto sino a farla morire? Ora capisco perché mi hai sempre evitata, te la ricordavo troppo ed ero diventata lo specchio della tua crudeltà. Tu mi hai rubato l’infanzia e hai impedito che crescessi con mia madre facendomi credere di non essere degna di amore, e tu e la zia mi avete trattata come una cosa scomoda da scaricare il prima possibile. Sono cresciuta da sola tra le mura fredde di un collegio, così potevi illuderti che non esistevo insieme al tuo rimorso, sempre che tu sia stato capace di provarlo”.

Ma Alfio ormai non poteva più risponderle e la guardava con gli occhi vuoti, lontani, ormai confinato in una terra d’oblio dove niente e nessuno poteva più raggiungerlo, nemmeno il proprio rimorso.

“Non so se riuscirò mai a perdonarti papà” sussurrò nell’accomiatarsi. Raggiunse la sua auto e pianse lungamente e con lei quella bambina rannicchiata per terra in un angolo, con un libro di fiabe in mano, che si era portata chiusa dentro per anni. …continua.

 

 

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale

 

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