Luna Rossa (Episodio 9)

Maddalena chiuse la porta del suo ufficio quasi con senso di liberazione. Si sedette alla scrivania a rileggere il verbale della testimonianza di Anna Ridolfi che le aveva stampato l’agente Rubini. Due versioni, opposte, che narravano la stessa storia e in cui lei come giudice doveva stabilire chi era la parte offesa e chi il colpevole. Da una parte un uomo stimato, incensurato, molto conosciuto in zona il quale, a suo dire, era stato accusato, ingiustamente, di maltrattamenti e violenza dalla sua ex compagna disturbata psicologicamente; dall’altra una donna che, con lucidità, descriveva un uomo dalla doppia personalità e abile nel non farsi scoprire. Poi una serie di testimoni che avevano dichiarato di aver assistito a manifestazioni di disagio in pubblico da parte di Anna Ridolfi. L’indagine non era affatto semplice e la pressione della stampa era diventata molto forte. Giornalisti, stazionavano fuori la Procura alla ricerca di informazioni e, quel pomeriggio, anche in ospedale. Maddalena scrisse una lista di testimoni che doveva ancora sentire, e tra questi la neurologa, Nicolina Vellaro, che si era presa cura di Anna in ospedale e che probabilmente conosceva lo stato mentale della paziente.

Maddalena guardò l’orologio: si erano fatte le diciotto e fuori l’aria era tiepida. Il profumo delle rose sbocciate nei giardini entrava dalla finestra come una promessa d’estate a venire. Chiuse gli occhi e per un attimo quel profumo la riportò indietro quando, ormai vicina all’esame di maturità, restava a studiare nell’aula vuota e dalla finestra aperta entrava il profumo di siepi fiorite e di mare, insieme al desiderio di libertà, ormai vicina, da quelle mura claustrali. Il suono del cellulare interruppe i suoi pensieri: “Maddalena? Ciao, tutto bene? Seminati i giornalisti?” disse Giacomo con quel suo modo gentile.

Per un attimo Maddalena rimase interdetta e si sentì avvampare la faccia.

“Ma ti ho disturbata?” domandò lui.

“No no, è che sono ancora in ufficio” si riprese Maddalena.

“Anche io sono ancora in ospedale, ma alle otto smonto. Pensavo che potremmo mangiare qualcosa di buono all’osteria di Quinto, in via Mazzini. Ti va? Accetta per favore, prometto che non dirò una parola sul caso Pardi Ridolfi!”

“Sono stanca, non so se...”

“Maddalena, siamo entrambi stanchi, per questo mangiare qualcosa di buono non ci farà altro che bene. Non faremo tardi”.

Giacomo aveva sempre un modo di porsi gentile, dolce, ma allo stesso tempo deciso, schietto. Il “non so se” e “posso” che lei metteva spesso davanti a un successivo rifiuto questa volta non aveva funzionato. Rispose che sì, era molto stanca, ma che aveva fame e quindi accettava.

“Allora ci vediamo lì alle venti e trenta? Il tempo di cambiarmi e arrivare, a dopo” rispose Giacomo. Maddalena chiuse la finestra dell’ufficio e pensò che quell’uomo con quegli occhi solari e dalla pelle leggermente ambrata le piaceva molto, più di quanto volesse ammettere a se stessa. Nello stesso tempo provava un forte timore, una strana angoscia che l’assaliva come un’onda anomala nel mare calmo. Con questi pensieri si avviò verso casa per cambiarsi d’abito e, mentre camminava, respirò forte come per ricacciare indietro i ricordi e i brutti sogni.

Giacomo aspettava davanti all’entrata della trattoria e, quando vide Maddalena, le andò incontro sorridendo, le prese la mano e la portò alle labbra. “Sono felice che tu abbia accettato il mio invito, non ci speravo. A volte ho quasi paura di infastidirti, ma tu sei così affascinante! Anche se fai di tutto per tenermi distante. Dimmelo, davvero, se ti sembro troppo invadente”.

Maddalena arrossì leggermente e rispose che a volte lui correva un po’ troppo e che per il momento andava bene così. La cena fu piacevole e Giacomo parlò del suo lavoro e della casa al mare a Numana dei suoi genitori dove si recava durante i momenti liberi in estate. Maddalena raccontò del suo odio-amore per la Sicilia, dove andava pochissimo, della malattia del padre e della madre persa da piccola. Parlarono molto, sino a tardi, e si trovarono a camminare vicini nelle stradine illuminate dalla luce fievole dei lampioni nel centro storico.

Il silenzio era rotto dal rumore lontano di qualche automobile di passaggio e dell’orologio del Comune. “Sono arrivata” disse Maddalena davanti al portone di casa. “Grazie della bella serata, sono stata bene”.

“Anch’io, e desidero altre serate con te. Lo so che corro, ma la vita è così meravigliosa e precaria. Forse sarà la mia esperienza di medico a farmi ragionare così, ma credo che questo dono che abbiamo non lo dobbiamo sprecare. A volte siamo difesi, arroccati nelle nostre certezze da non capire quante cose meravigliose ci vengono offerte e le sprechiamo per insicurezza, paura, orgoglio. Io sono attratto da te, anche se ti conosco poco, ma mi fido di quello che sento, di quello che provo guardandoti. Era molto tempo che non provavo più queste sensazioni e ho imparato a non vergognarmi, a non nascondermi dietro maschere e parole inutili”. Poi prese la mano di Maddalena tra le sue e la baciò: “Prometto che andrò a passo lento, ma domani sera abbiamo un appuntamento alle sette per un aperitivo già concordato. Lei sorrise e lui, mentre le apriva il portone, le sfiorò la guancia con le labbra. … continua.

 

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale

 

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