Luna Rossa (Episodio 5)

''Questa faccenda si presenta davvero complicata: due persone che affermano cose opposte e l’uno dichiara di essere la vittima dell’altro'', disse Maddalena all’ispettore Marini.

“Però ci sono dei testimoni che affermano che la signora Ridolfi non stesse bene. Molte persone del paese hanno visto quando, in due occasioni, è andata in escandescenze inspiegabili” disse l’ispettore. “Sì, è vero, ma dobbiamo verificare. Voglio sentirla: mercoledì sera mi recherò in ospedale, vedremo e poi valuteremo tutti i fatti e le testimonianze. Per ora vada pure Marini” disse Maddalena che, rimasta sola, si mise a rileggere la testimonianza di Pardi e le altre raccolte a Socci.

I testimonianti descrivevano Anna Ridolfi come instabile emotivamente e quindi sembravano avvallare la versione di Pardi. Però, contro di lui, c’erano accuse ben precise delle quali andava verificata l’autenticità. Mentre era concentrata su tutte queste ipotesi squillò il cellulare: ennesima chiamata di zia Rosina alla quale dovette rispondere, se pur a malincuore. Rosina aveva una voce lamentosa, quasi una cantilena di lamentele e rimproveri alla sua unica nipote ed erede che non si curava della sua povera zia, tanto sacrificata per star dietro a tutte le noie delle proprietà e al povero fratello Alfio che andava a trovare tre volte la settimana nell’istituto dove era ricoverato perché affetto dal morbo di Alzheimer.

“Scusami zia se non ti ho richiamata, ma mi è stato affidato un caso che mi tiene molto impegnata e ho pochissimo tempo” disse Maddalena, ma Rosina continuava il suo monologo con l’intercalare di me mischina chi sacrificai la vita mia.

“Zia, appena potrò verro a Catania, ma adesso davvero non posso muovermi da Arezzo, non è il momento” replicò con gentilezza e finalmente, con il solito sospiro di rimprovero della zia, la telefonata giunse al termine. Non era cattiva Rosina, ma solo ed esclusivamente concentrata su di sé. Esprimeva il suo bisogno di attenzioni costante con un vittimismo riguardo il suo stato di salute, le grandi responsabilità e le rinunce che era stata costretta a fare nella sua vita.

Quando la madre di Maddalena morì, Rosina si trasferì a Perla per occuparsi della gestione della casa e della nipote, ma dopo un anno lei e il fratello decisero di tornare a Catania e di mandare la “bambina” in collegio.

Maddalena, benché avesse solo sei anni, ricordava bene il giorno in cui lasciò per sempre la sua casa. Era ancora buio quella mattina di ottobre, ma dalla grande finestra della cucina cominciavano a vedersi sprazzi di luce più chiara intorno alle colline circostanti. Lì Rosina e Maddalena facevano colazione. Agatina, la donna che si era curata della picciridda anche quando era viva la madre, piangeva silenziosamente in un angolo e Rosina la redarguì duramente: “Finiscila! Va’ pulizza i scali, vattinni!”

Maddalena guardò Agatina che si allontanava, ma non disse una parola. Si era come abituata a tenere tutto dentro per non essere rimproverata dalla zia e da suo padre che, quando tornava a casa, non voleva problemi. L’idea del collegio venne alla zia che non voleva né restare a Perla, né avere la responsabilità della bambina, visto che il padre era sempre assente per lavoro. Così fu scelto un collegio di suore Carmelitane poco lontano da Catania, rinomato per la qualità dell’istruzione ma anche per la sua severità e disciplina.

Maddalena terminò di fare colazione in silenzio, l’ultima nella sua casa che sarebbe stata chiusa insieme al mondo della sua prima infanzia felice, prima che la morte della madre spazzasse via tutto insieme ai ricordi. Solo Lina e Gerardo, i quali si occupavano del Parco intorno alla casa e della manutenzione, sarebbero rimasti nella dependance come guardiani.

Era ormai giorno quando don Ciccio Marra si fermò davanti al grande portone della villa con il suo pulmino Mercedes che faceva da taxi dal paese a Catania. Gerardo caricò il bauletto di Maddalena e altri bagagli, mentre Agatina e gli altri domestici erano tutti fuori a salutare: “Ciao picciridda, mi raccumannu” disse Agatina stringendola forte forte e bagnandola con le sue lacrime.

Rosina, intanto, salì in macchina con un mezzo sorriso stampato in faccia perché non vedeva l’ora di andarsene. “Andiamo che è tardi” disse. “Tu, Agatina, resti qui sino a fine mese poi sono rimasta d’accordo con la baronessina Tindari che ti prende a servizio da loro”.

Agatina fece un cenno con la testa, ma non riusciva a smettere di piangere per quella separazione e nel vedere quella bambina sfortunata che amava tanto in mano a due persone fredde e indifferenti. La strada dal paese a Catania era piena di curve e don Ciccio si fermò diverse volte perché Rosina soffriva di mal d’auto: “Maledetta strada” mormorava tenendo abbassato l’angolo della bocca, il che dava al suo viso un’espressione più imbronciata del solito. Non era bella Rosina, non si era mai sposata per colpa dei genitori e del fratello, diceva lei, che avevano fatto di tutto per farla lasciare con un giovane perché a loro non piaceva. A quarantacinque anni le era rimasta una buona rendita e metà delle proprietà di famiglia che gestiva con il fratello.

Il pulmino si fermò davanti al collegio. Un cancello altissimo, massiccio, si aprì su un enorme parco verde e la macchina proseguì sino a raggiungere un palazzo ottocentesco circondato da pini marini, lascito di una duchessa senza eredi alle monache che l’avevano assistita sino all’ultimo nel loro convento. Il palazzo fu poi trasformato in un collegio esclusivo dove studiavano le figlie delle famiglie più abbienti della Sicilia, ma anche di altre regioni del Sud.

Nell’Ufficio della madre superiora trovarono Alfio che le aspettava. Il padre accarezzò fuggevolmente la testa di Maddalena e fece un cenno di saluto alla sorella, che subito andò a baciare la mano di Madre Crocifissa e cominciò a raccontarle il tremendo viaggio che aveva dovuto sopportare, ma lo sguardo di disapprovazione del fratello troncò a metà il discorso e si fece silenzio.

“E tu”, chiese la suora rivolgendosi a Maddalena che stava a testa bassa, in piedi, tra il padre e zia Rosina, “sei contenta di essere tra noi? Andrai a scuola e incontrerai tante bambine”.

Maddalena restò a testa bassa, muta.

“Sentisti la madre?” disse zia Rosina toccandole il gomito.

“Certo che è contenta” intervenne il padre, “vero?” disse sottovoce guardandola con severità.

“Sissignora sono contenta” rispose la piccola con un filo di voce, le lacrime che a stento riusciva a trattenere in gola le causavano un senso di soffocamento.

Maddalena guardò l’ora nel telefono e vide un messaggio da un numero che non conosceva: “Ciao, sono Giacomo e ho avuto il tuo numero da Lucia. Non rimproverarla, ho insistito io. Vorrei invitarti per un apericena al caffè dei Costanti, quando puoi? …continua

 

 

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale

 

LUNA ROSSA (EPISODIO 4)

 

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