Luna Rossa (Episodio 3)

“Ispettore, allora, cosa mi racconta?” chiese Maddalena all’ispettore Marini della sezione di polizia giudiziaria presso la Procura che aveva incaricato di svolgere le indagini relative al caso di Anna Ridolfi e Paolo Pardi. L’ispettore Angelo Marini era un uomo sulla cinquantina, con un portamento giovanile e un sorriso leale. “Sono Andato a Socci e ho interrogato il personale di servizio nella villa di Pardi e alcuni impiegati e operai della sua fabbrica. Tutti descrivono Pardi come una persona disponibile e gentile con tutti e sono rimasti stupiti dalle accuse che gli sono state rivolte dalla compagna”.

“Cosa le hanno riferito le persone di servizio riguardo ai rapporti della coppia?” domandò Maddalena. “Vivevano insieme da un paio di anni, lei si era trasferita da Arezzo dove abitava con un’amica. La signora Ridolfi fa la restauratrice ed era nell’équipe della professoressa Banti per il restauro dell’altare del Duomo di Arezzo. Sembra però che da un anno non stesse bene e per questo motivo, alla fine, ha lasciato il lavoro. Il giardiniere della villa mi ha riferito che a volte la vedeva passeggiare nel giardino con lo sguardo nel vuoto, tanto che, ultimamente, Pardi non la lasciava sola un attimo e usciva sempre con lei per il paese o per recarsi in città. Più volte è andata in escandescenza in pubblico urlando ‘lasciami in pace, finiscila’ e scoppiava a piangere. Lui la stringeva forte e la portava via scusandosi con i presenti che lo hanno visto più volte con le lacrime agli occhi. A volte è anche caduta a terra priva di sensi in casa, come mi ha riferito la governante che, insieme a una cameriera, sta fissa in casa Pardi. Sono stati fatti accertamenti neurologici, ma dalle tac non risultavano lesioni al cervello”.

“Ma era in cura da uno psichiatra?” chiese Maddalena.

“Non so dirglielo questo, dottoressa, so solo che si era sottoposta ad accertamenti”.

“Allora si informi su questo e intanto convochiamo Paolo Pardi, voglio interrogarlo e poi, quando i medici ci daranno il nulla osta, sentiremo anche la signora Ridolfi. Per adesso è tutto, può andare. Marini, mi aggiorni presto”.

Maddalena restò sola in ufficio, spalancò la finestra: “Le cinque del pomeriggio e son ancora qui” pensò, ma tanto non l’aspettava nessuno e magari avrebbe fatto una passeggiata prima di rientrare a casa e comprato qualcosa per la cena in quella piccola rosticceria dove si fermava spesso. Squillò il cellulare mentre stava per uscire: era Lucia, la sua vicina, un’architetta d’interni, stravagante ma simpatica, con la quale condivideva il pianerottolo. La invitava a cena per quella sera per inaugurare il terrazzo che aveva rimesso a posto per la stagione estiva. Avrebbe voluto rifiutare, ma l’insistenza affettuosa di Lucia alla fine aveva avuto la meglio sulle sue resistenze e aveva accettato.

“Roberta ti prego passami quel giornale” disse Anna alla sorella che sembrava perplessa e rimaneva lontana dal suo letto, nella poltrona difronte a lei. “Ti prego, dammelo” ripeté, “tanto non potrai proteggermi a lungo, voglio sapere”. Roberta si alzò e le porse il giornale, riluttante: Noto imprenditore accusato di violenza dalla compagna. Lui si difende: lei ha problemi psichiatrici, si leggeva nel titolo che precedeva il lungo articolo di cronaca. Anna cercò di leggere, ma non riusciva ancora a mantenere l’attenzione e gli occhi si stancavano subito. Lasciò cadere il giornale e disse a sua sorella: “Una pazza, pensano tutti che io sia una pazza. Me lo diceva sempre di non andare contro di lui perché mi avrebbe distrutta! Quell’uomo è un mostro, ma sa fingere bene e mi distruggerà. Non si ferma davanti a nulla, lo so bene”. Roberta le accarezzò la guancia, non riconosceva più in quella donna ferita e disperata la ragazza solare, entusiasta, che era partita dal loro paese in Umbria per studiare arte e restauro a Firenze. Era arrivata appena saputo dell’incidente. Era più di un anno che non rivedeva sua sorella, man mano si erano allontanate dopo le mille scuse che lei e il compagno trovavano ogni volta per non andare a trovarla o per non invitarla a Socci insieme alla sua famiglia. Anna tenne premuta sulla guancia la mano della sorella che ben presto si inumidì di lacrime: “Non so come ho fatto a cadere in questa trappola infernale, ma vivevo come in un sogno, a volte mi sembrava di non essere nemmeno me stessa e ricordo poco, ho ricordi confusi, ricordo solo il dolore e quella voce, quella sua voce che mi parlava piano nell’orecchio, quelle mani che mi stringevano forte il braccio quando fuori di casa volevo divincolarmi e quella notte, quel suo sorriso sarcastico e gli insulti e quella parola: nullità. “Sei una nullità”, lo pronunciava piano, senza urlare, sorridendo come se stesse pronunciando una parola dolce. Quante volte per farmi cadere mi ha spinto, ma era così abile da non farsene accorgere! Una mente malefica, ma sa fingere con tutti, vive di finzione”.

“Vedrai”, disse Roberta, “andrà tutto bene. E se ha commesso queste atrocità verrà punito ma tu, adesso, cerca di rimetterti e di mangiare qualcosa, sono giorni che quasi non tocchi cibo”.

“Roberta, non sono pazza come lui vuol far credere, ti prego, almeno tu credimi! Quell’uomo ha una mente perversa ed io ci sono cascata, ma ero come paralizzata e negli ultimi periodi come stordita…” “Ti credo Anna, ma adesso calmati, devi recuperare se vuoi uscire da questa situazione, affronteremo tutto insieme” disse Roberta baciandole lievemente la guancia e ricacciando indietro le lacrime nel vedere la sorella in quello stato. Bussarono alla porta: “È permesso?” disse la dottoressa Vellaro, “Come va oggi, Anna? Devo visitarla, e vediamo se tra poco possiamo mandarla in riabilitazione. Perché ha pianto?” domandò, ma vedendo il giornale sul letto capì immediatamente e si sedette accanto a lei. Nicolina Vellaro era una neurologa di chiara fama, molto stimata per i suoi modi gentili con i pazienti e il personale ma anche per il carattere schietto, visto che non esitava a mandare a quel paese chi non faceva le cose perbene. Aveva preso a cuore il caso di Anna e voleva capire sino in fondo cosa le fosse capitato, quali fossero questi disturbi psichici e se esistevano davvero.

“Forza Anna, che il trauma cranico per fortuna si è risolto, e mi ha detto il collega ortopedico che tra un paio di settimane potremo trasferirla all’istituto di riabilitazione. E mi prometta di essere forte e di non dare retta ai giornali, deve credere in se stessa e vedrà che la verità uscirà fuori. Vorrei sapere solo se lei prendeva psicofarmaci, perché dalla cartella non risulta”.

“Sono andata solo una volta da uno psichiatra, il dott. Bolino, qui ad Arezzo. Avevo difficoltà a dormire e attacchi di ansia, ma tutto questo perché lui, quel maledetto, mi tormentava, anche di notte. Mi svegliava per dirmi che ero un niente o per dirmi che gli facevo schifo. Ma al dottore non gliel’ho raccontato, mi vergognavo” disse Anna. La dottoressa Vellaro uscì dalla stanza con mille interrogativi, ma decisa sino in fondo a capire cosa fosse successo davvero a quella ragazza. …continua

 

 

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale

 

LUNA ROSSA - Episodio 2 

LUNA ROSSA - Episodio 1 

 

 

 

 

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