Venerdì, 21 Gennaio 2022 16:50

Alessandra Pasquali, storia di un successo in punta di piedi

"Ho nascosto la foto di mio papà dietro l'armadio, dove nessuno la può vedere.

Nessuno a parte me.

Mi sento protetta guardando l'immagine di noi due insieme stretti in un abbraccio.

Lui non c'è più ora, ha aspettato che io tornassi per qualche giorno a casa, forse mi voleva salutare prima di morire, o forse sapeva che ne avevo bisogno io.

Rannicchiata in questo letto, il cuore mi esplode dentro. La camerata è grande, siamo in tante a essere sole.

Il freddo è quasi insopportabile.

La divisa che di giorno mi fanno indossare non prevede le calze lunghe e tremo nel rigore degli inverni che passano.

Non sempre quando mi metto in fila per il pranzo, riesco a mangiare.

Capita che i più grandi mi passino davanti e quando arriva il mio turno, la matrona abbassi la serranda proprio davanti a me.

“Niente più cibo oggi”

Non posso dire nulla.

Qualsiasi tipo di disobbedienza è soggetta ad essere castigata.

Se qualcuno si azzarda a ribellarsi, a fare qualsiasi gesto fuori dallo schema prestabilito, veniamo radunati in massa nella cappella.

 Viene chiesto al colpevole di farsi avanti e se non lo fa, la punizione si abbatte su tutti indistintamente.

L'ultima volta ci hanno tolto la carta igienica.

L'hanno sostituita con una specie di materiale non assorbente, simile alla plastica.

Qui non mi è permesso telefonare.

Non posso ascoltare la radio.

Non posso guardare la televisione.

Non posso sfogliare le riviste.

Da oggi non posso più neanche guardare la foto di mio padre.

La governante l'ha trovata e me l'ha portata via.

Sono stata punita duramente per essermi permessa di avere qualcosa di mio, qualcosa di personale al quale aggrapparmi per combattere la tristezza.

Qui io non posso avere un'identità, alla mia voce non è consentito distinguersi, ne è permesso al mio corpo di avere fattezze diverse da tutte le altre.

“Tu non ce la farai mai”

Da quanto mi sento dire che sono troppo, o troppo poco.

Non sono mai giusta.

Ho l'impressione che mi vogliano togliere persino i pensieri.

No.

Io so chi sono.

Io voglio farcela.

Io voglio combattere.

Lo devo a mia madre.

Per tutti i sacrifici che ha fatto per darmi la possibilità di essere qua.

Lo devo a mio padre, ancor di più ora che non c'è più.

Se è a qualcuno al quale devo dimostrare qualcosa, quel qualcuno sono proprio io.

Non importa se i piedi mi fanno male, se sanguinano ogni volta che mi infilo le scarpette.

Non importa se mi sento svenire dal mal di pancia.

Non importa se dalla fame, di notte, mangio persino il dentifricio.

Quello che mi accade dentro lo so soltanto io, io sola posso trovare la forza per superare tutti gli ostacoli.

Se sono arrabbiata dentro, all'esterno nessuno lo deve notare.

Quando ho il cuore spezzato, sul mio viso è il sorriso che gli altri devono vedere.

È questo che mi hanno insegnato in questa scuola.

È questo che ho dovuto imparare.

Non avrei mai pensato di diventare quello che sono ora.

Ricordo l'incontro con Mister Frank  Freeman.

In me, quando ero soltanto una ragazzina, lui ha saputo scorgere qualcosa che non sapevo neppure di avere.

Lui ha proposto ai miei genitori di farmi frequentare l'istituto che mi ha insegnato le basi per costruire la mia carriera.

È stato lui che guardandomi dritto negli occhi mi ha detto che non c'era nessuna garanzia di farcela.

Mi ha messo in guardia su tutte le difficoltà che avrei dovuto affrontare, mi ha detto la verità senza nascondermi nulla.

A 14 anni dopo l'esame di terza  media, mia madre e mio padre hanno lasciato a me la scelta se accettare la proposta di allontanarmi da casa e intraprendere un percorso sicuramente difficile.

Io ho detto sì e sono partita per l'Inghilterra.

Ero una ragazzina che della vita non sapeva ancora nulla.

Ho finito gli studi, sentendomi dire giorno dopo giorno che con il mio corpo non sarei mai arrivata da nessuna parte, le mie forme erano sempre inadatte. Io ero sempre sbagliata.

Con il mio diploma in mano sono partita.

Zaino in spalla ho preso mille treni.

Ho bussato a moltissime porte.

Ho ricevuto tantissime lettere con un bel no scritto nero su bianco.

Dopo anni di duro allenamento, rinunce, rigore, i no erano soltanto una carezza in confronto a quello che avevo affrontato.

Ad ogni rifiuto aumentava la mia determinazione nel provarci.

Poi sono arrivata a Vienna.

C'erano 230 ragazze quel giorno pronte a guadagnarsi un posto, tra i tre soli disponibili.

Guardando i loro corpi armoniosi pensavo che non ce l'avrei fatta, ma il senso del dovere e la determinazione, mi hanno guidato e ho portato a termine il mio provino.

È strano come capiti di non sentirsi all'altezza ma allo stesso tempo si sappia di avere la forza per continuare.

Lungo il corridoio che mi portava all'uscita, ricordo di aver incrociato la direttrice, in modo dimesso le ho fatto un cenno con la testa quasi a ringraziarla comunque della possibilità che mi era stata concessa.

Nel mio sguardo deve aver letto esattamente quello che sentivo.

“In che senso?” mi ha chiesto.

“So di non avere il corpo adatto, me lo hanno sempre detto”

“Io non sto cercando un corpo, sto cercando una ballerina”

Dopo qualche settimana sono entrata nel corpo di ballo dell'Opera di Vienna. Ho conquistato il mio spazio.

Ho iniziato a crescere guardando e imparando dagli altri. Mi sono allenata duramente per molte ore ogni giorno.

Ho respirato sudore, ingurgitato fatica, ingoiato lacrime di dolore.

Ho mangiato, bevuto, vissuto, in funzione soltanto del mio ruolo.

Ho danzato sulle note del Lago dei Cigni, sono stata una gitana in Romeo e Giulietta, le note della Bella Addormentata hanno accompagnato i miei passi, ho indossato un vestito nero, ballando tra le braccia di un Libertango.

Gli applausi, il favore del pubblico, ieri come oggi, li condivido con la mia famiglia.

I successi sono miei quanto loro.

Ho trascorso gran parte della mia vita in punta di piedi.

Ora , ho il grande onore di insegnare ad altri professionisti.

Convocata dalle più prestigiose compagnie di ballo, mi metto sempre in discussione.

Voglio sempre svolgere il mio compito al meglio, e mi chiedo sempre come posso farlo..

Se da ragazza mi avessero detto cosa avrei fatto e dove sarei arrivata probabilmente non ci avrei creduto, ma sono qui ora a raccontare la mia vita fino a qui.

“Non ascoltate chi vi dice che non ce la farete mai, non date retta a chi vuol dissuadervi dall'arrivare dove voi sentite di voler andare.

Trovate i vostri punti di forza, mettete a frutto le vostre abilità. Battetevi non per essere più degli  altri, ma per dare il meglio di voi stessi.”

Mi chiamo Alessandra Pasquali e sono una ballerina".

Ringrazio Alessandra Pasquali.

Dietro ogni obiettivo raggiunto ci sono sempre l'impegno, il sacrificio, la determinazione, la forza di volontà.

Non per dimostrare agli atri di essere migliori, ma per dare il meglio di noi stessi.

 

Articolo a cura di Viviana Donadello

 

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