Lunedì, 06 Dicembre 2021 10:23

"Il buio e la luce"

Si dice che la nebbia risalga dal terreno ed alzandosi renda difficili i movimenti umani, quelli espletati in particolare con i veicoli: ostacolo quindi che si frappone tra noi e i nostri spostamenti; oppure che ci mostri una visione quasi irreale di ciò che ci sta attorno, avvolgendolo in un drappo fiabesco; per chi non teme il silenzio ed una luce diversa la nebbia lo amplifica, soprattutto nei luoghi esuberanti di vegetazione; la nebbia ti costringe al passo lento di chi cerca la consapevolezza, di chi non teme di sentire, oltre l'insolito silenzio, il rumoreggiare dei pensieri e dei ricordi. La nebbia non soltanto sale dall'umidità della terra ma pare scendere anche dall'alto in goccioline impalpabili. Come in questo momento. Un modo di dire afferma: “Essere come un faro nella nebbia”. Eh sì, le fonti di luce nella nebbia ed anche nel buio fitto sono una guida, un'indicazione, un riferimento. Una volta, una manciata d'anni fa, qualcuno mi disse: “Tu sei una persona che emana luce”. Ed io, fino ad allora, mai avrei detto di poter essere percepita e poi descritta in tal modo; grande gioia ovviamente, una sorta di riscatto verbale dopo tante battaglie, fin dalla più tenera infanzia, dopo tanta fatica, difficoltà ed incomprensioni; che tuttora sussistono. Ognuno ha la sua storia, mi ritrovo spesso a ribadire. Quelle parole contribuirono al dissolversi di quella nebbia fitta d'inadeguatezza, di scarsa fiducia in me stessa, che, posso dire da sempre, mi era stata compagna non propriamente gradita. Si sa, gli studi di psicologia da tempo lo hanno appurato, che la sicurezza di sé s'acquisisce negli anni infantili: una sorta di fondamenta su cui, negli anni, si costruisce, si forma la propria personalità. Il mio tempo “bambino” fu intimamente intrecciato con le fragilità, espresse in momenti ed anche in lunghi periodi, di una madre vittima di disturbi psichiatrici; lei stessa, appena ragazzina, alla mercé di distorte dinamiche familiari che portarono a discutibili decisioni.

E doppiamente vittima di pregiudizi culturali che sussistono e su cui si è costituita una cultura in cui è carente il rispetto delle donne; e vittima fu pure mio padre, una pasta d'uomo, lasciato troppo solo in anni veramente problematici della nostra famiglia. Una madre che mi crebbe con cura, però, per le ragioni a cui ho accennato prima, in un'altalenante atmosfera d'amore e di botte che, improvvisamente, per ragioni oggettivamente minime, mi scaricava addosso per poi, dopo alcuni minuti, abbracciarmi e circondarsi di tenerezza...pensate cosa può provocare questo in una creatura che sta crescendo, quale sensazione di instabilità e, allo stesso tempo, dopo, la repentina manifestazione d'amore che ti rassicura; e, si sa, ogni bambino necessita di una serena stabilità. I suoi disturbi quindi come una sorta di buio da lei vissuto e che, a volte, calava anche sulla Dani bambina tramite schiaffi e calci e poi, come luce inattesa, il suo tenero abbraccio: queste furono le radici della nebbia di disagio che mi avvolse negli anni di crescita. Credo sia fondamentale una considerazione: chi vive il disagio psichiatrico non è “un caso” bensì una persona col proprio temperamento, carattere e personalità. Mia madre era istruita, generosa, amava gli animali e la natura, non si tirava indietro se qualcuno aveva bisogno di una mano. Quindi questi due aspetti (malattia e personalità) coesistono e vanno tenuti presenti entrambi. La vita scorre, come acqua, come un fiume destinato alla foce; la vita arde, come fuoco, come un grande falò che s'esaurisce lentamente. Tutti quanti viviamo il buio dei momenti difficili; nel buio si trova anche il riposo e la quiete. Tutti quanti siamo tenuti ad esser anche luce, un riferimento, un aiuto. Inutile è crogiolarsi nelle difficoltà passate e presenti: stupendo riuscire a fare di queste delle opportunità per diventare, come ho trovato scritto da qualche parte, la miglior versione di se stessi. Un faro nella nebbia della fatica, ma anche della gioia, del vivere.

 

Racconto a cura di Daniela Minozzi

 

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